I rottamatori sempre più divisi sognano rivincite alle urne

La frattura piazza-governo è troppo netta, la scissione del Pd è solo questione di tempo. Ma l'ala sinistra è disorganizzata e cerca un leader. Landini si sfila: "Io non all'altezza"

I rottamatori sempre più divisi sognano rivincite alle urne

Più che scissione dell'atomo, come ironizza la vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, siamo nel campo delle particelle elementari. La sinistra vive nel magma informe che accompagnò la nascita dei movimenti degli operai e contadini dell'Ottocento, e dunque sarebbe inutile e velleitario utilizzare gli strumenti del secolo successivo. In questo senso, sbaglia di grosso chi pensa di uscirne con gli schemi della sinistra novecentesca. Ma anche chi pensa di ridurre tutto a una scissione «dentro» il Pd, tra i «leopoldini» e i «cigiellini». O tra quelli che vogliono «cambiare il futuro», felice monopolio comunicativo del segretario Renzi, e «chi vuole restare aggrappato alla nostalgia». O semplicemente chi ieri ha portato i bambini allo zoo (come promesso e mantenuto da Stefano Fassina) piuttosto che correre a baciare la pantofola al nuovo potere.

Una «Bad Godesberg» italiana è alle porte e sarà solo questione di tempo. Il significato della prova di forza del sindacato in piazza sta tutto qui, in questa «scissione di fatto» tra quella che fu la «cinghia di trasmissione» del Pci e gli eredi di quella tradizione, oggi racchiusi negli sforzi di Renzi per cambiare il Pd. Il leader ha però ben capito che quella di piazza San Giovanni era una manifestazione «politica» e il suo «non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di diverso» testimonia che ha messo nel conto anche l'arrivo, alle prossime elezioni, di un'offerta politica per quei due terzi di manifestanti non iscritti né alla Cgil né al Pd.

Il vero nodo, che la prova della piazza non ha sciolto, in parte fallendo l'obbiettivo, sta nella mancata accelerazione verso un «partito laburista». Troppe divisioni, troppi personalismi, troppa disarticolazione serpeggiava a piazza San Giovanni per poter ripartire da lì, dall'ennesimo unirsi sotto la stessa bandiera e contro lo stesso nemico. E non basta l'irritazione della Camusso per quella lite in diretta tra il vecchio e il nuovo, la Bindi e la Serracchiani, che pareva portar acqua al mulino renziano, in una querelle tutta interna al Pd. Il dramma sta nella mancanza di programma, il problema nella mancanza di un leader. Le due cose stanno assieme, e Maurizio Landini, che ha avuto l'atteso tributo di piazza, ancora una volta si è nascosto dietro un dito. Personalmente mostrando un'ammirevole valutazione di sé stesso («Faccio quello di cui sono capace, il leader sindacale; non so se sarei all'altezza di fare altro»). Più interessante la seconda parte delle sue motivazioni, che siano vere o no si vedrà. «Sono contro il partito del leader, la ritengo una malattia degli ultimi vent'anni. E sono contrario all'inutile testimonianza, lavoro per avere dei risultati, non per dire che esisto». Quanto potrebbe raccogliere una superlista che metta assieme esperienze sindacali, quella di Sel, gruppuscoli comunisti alla Ferrero, socialisti di sinistra, sostenitori di Tsipras? «Una scissione del Pd sarebbe una sciagura per tutto il Paese», avverte intanto un preoccupato Alfredo Reichlin. Che viene proprio da quella sinistra del '900 che deve voltare pagina.

E non con Renzi, il cui tentativo di autolegittimazione fa dire alla Camusso «mi pare che ogni giorno abbia bisogno di affermare che i suoi principali ispiratori sono gli imprenditori». Bensì «oltre-Renzi». Sarà una dura sfida, sempre che la crisi economica e sociale non precipiti i tempi, e le modalità.

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