Il fenomeno migratorio è un elemento che si è presentato con costanza e regolarità nella storia. In alcuni periodi si è manifestato come fenomeno poco gradito, e per questo strettamente regolamentato, in altri si è rivelato necessario e persino indispensabile per valorizzare e arricchire alcune tra le più importanti economie del nostro mondo, come ad esempio gli Stati Uniti e l'Australia. Ma sono proprio questi paesi, cresciuti grazie all'immigrazione, a impartire oggi un'utile lezione sul fenomeno.
Distanti per storia e cultura da impostazioni ideologiche, legate al pensiero politico, o alla religione, queste «nuove» nazioni si trovano oggi ad affrontare come un nemico, ciò che un tempo aveva portato alla loro nascita. L'Australia è un Paese ricco, dotato di abbondanti risorse naturali e di un sistema molto favorevole alla creazione d'impresa: queste lontane terre, sono da sempre meta e desiderio di migliaia di aspiranti immigrati. Molti di questi possono entrare regolarmente, grazie ad un sistema relativamente flessibile che permette a cittadini di alcuni paesi, di vivere in Australia per un periodo limitato di tempo, tale da permettere la ricerca di un lavoro. Alla scadenza del visto, però, non esistono eccezioni. Senza uno «sponsor», quindi un'azienda che proponga un contratto di lavoro, l'immigrato è espulso dal continente, senza deroghe. Questa misura si applica all'italiano, così come al cittadino del Regno Unito, o della Corea del Sud. L'Australia, come ogni economia in crescita, ha bisogno dell'immigrazione, ma alle sue condizioni.
Altri Paesi, da cui potrebbero provenire immigrati meno qualificati, o più distanti culturalmente - anche questo fattore è oggetto di considerazione - devono invece contare su accordi più restrittivi. Ma come emigrano i cosiddetti disperati, ovvero chi non può contare su un Paese di nascita «amico» del governo australiano? Anche lì, come in Italia, il fenomeno degli sbarchi è stato ampiamente diffuso. Fino a un giorno: quello dell'insediamento del governo di centrodestra di Tony Abbott, che grazie ad una nuova politica di «tolleranza zero», ha di fatto eliminato i costosi e pericolosi sbarchi dalle acque australiane.
Abbott ha istituito nel 2013, un sistema di protezione militare, denominato Osb, e ribattezzato «Stop the Boats». Il sistema può contare sull'impiego di navi militari impegnate a pattugliare senza sosta le acque a rischio infiltrazione. In sinergia con la strategia militare, il governo ha infine diffuso, un'efficace campagna di comunicazione dal titolo «No Way», ovvero «impossibile». Con video e manifesti tradotti e diffusi nelle lingue più sensibili: arabo, indonesiano, indiano eccetera. I risultati non si sono fatti attendere. In un anno è stata registrata una riduzione del 90 per cento degli sbarchi: 207 nel 2013, contro i 2629 dell'anno precedente.
Il video, diffuso in tutti i Paesi a rischio, presenta il messaggio di un alto grado militare delle forze armate Australiane: «Qualsiasi imbarcazione irregolare verrà espulsa militarmente. Il provvedimento si applica a tutti: famiglie, bambini, minori non accompagnati. Non venite in Australia senza un visto. Non ascoltate chi vi dirà che si può fare. Queste persone vogliono i vostri soldi, e vi metteranno in pericolo».
Un messaggio e una politica migratoria che non lasciano spazio ad alcun compromesso, lontani anni luce da quanto intrapreso da un governo che, fino a ora, sembra si sia limitato a ignorare il fenomeno. E così continuerà a fare. Fino al prossimo sbarco, fino alle prossime vittime.
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