L'autoriciclaggio e il peccato originale del giustizialismo

L a commissione Finanza e Tesoro della Camera, presieduta da Daniele Capezzone di Forza Italia, ha varato il condono fiscale per evasioni tributarie commesse in Italia, equiparandolo al condono per il rientro dei capitali dall'estero, sulla base del principio di parità di trattamento tra i reati tributari che non (...)

(...) comportano fuga di capitali e quelli che lo comportano. Ciò è giusto, anche perché nel primo caso i soldi ritornano in circolo in Italia anziché all'estero. E il condono serve per ripristinare quel patto di fiducia fisco-imprese che vorrebbe stabilire la direttrice dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi. Ma, in questo testo che l'aula della Camera deve discutere, c'è anche un emendamento del Pd che lo avvelena, introducendo il reato di autoriciclaggio come auto consumo. Questo emendamento, non condiviso dal ministro Boschi (Pd), presentatrice del testo originario, nasce da una faida interna al Pd fra la sua ala giustizialista e quella pacificatrice del premier Renzi, che ha molti difetti, ma ha anche il merito di voler metter una pietra sopra gli eccessi del giustizialismo.

Chiunque legga che in Italia si introduce il reato di autoriciclaggio come auto consumo ha diritto di stropicciarsi gli occhi e di dire: «Già non capisco che cosa voglia mai dire “auto riciclaggio”. Ancor meno capisco che cosa sia l'auto consumo del reato di autoriciclaggio». Ma non si tratta di una svista. Il reato di autoriciclaggio, che esiste nel testo originario del governo e che l'onorevole Capezzone - che presiede la Commissione della Camera - ha dovuto accettare perché il Pd alla Camera ha la maggioranza assoluta, è un reato opinabile di origine giustizialista, frutto del compromesso con cui Renzi pensava di placare le voglie anti capitaliste che albergano negli ex comunisti del Pd. Per capirlo bisogna partire dal riciclaggio, reato previsto dal codice penale all'articolo 648 bis, che consiste in una ricettazione effettuata dal singolo, che non ha partecipato al reato con cui quel denaro o bene è stato ottenuto, «quando ciò, per le sue modalità, ostacola la individuazione della sua provenienza delittuosa». Qui il malvezzo giustizialista consiste nel fatto che si inventa come secondo reato la prosecuzione del primo. Il ladro che nasconde in un buco il portafoglio rubato con l'intento di riprenderselo sta semplicemente finendo di compiere il furto, non commette un secondo crimine. Analogamente, chi esporta in modo illegittimo il proprio denaro all'estero, con forme occulte che ostacolano l'identificazione della provenienza, sta puramente portando a termine l'operazione illegittima. Non si tratta di un secondo fatto ma dello stesso fatto, che è già punito come reato e che così viene punito una seconda volta, a carico della medesima persona. Con questo aumento dei capi di imputazione, chi evade le imposte e mette la somma su un conto in banca è trattato come un delinquente comune da punire con vari anni di carcere. Si dice che anche negli Usa l'evasione è punita con vari anni di carcere, ma ciò non è vero perché là viene punita con la prigione la frode, non la mera evasione.

Il reato di «auto consumo dell'autoriciclaggio» è una terza specie di giustizialismo, che si potrebbe definire al cubo perché viene tolta la clausola «in modo da ostacolare la loro provenienza delittuosa». Il puro fatto di trasferire il denaro evaso a un conto in Italia o all'estero in modo regolare diventa autoriciclaggio! Si noti che in Italia la semplice evasione è attualmente punita con il carcere quando la somma evasa supera i 50mila euro, cifra che per una società importante può non essere una percentuale molto grande, o quando il reddito non dichiarato supera il 10%.

Il reato di autoriciclaggio di mero auto consumo, escogitato dal giustizialismo persecutorio del Pd di matrice comunista, comporta pene da 4 a 12 anni. Non è questo il modo per creare il fisco dal volto umano di cui parla il direttore dell'Agenzia delle Entrate, chiedendo un patto fra fisco e contribuente.

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