«Tra il partito dei caminetti tra correnti e il partito delle primarie non ho dubbi: scelgo il partito delle primarie». Sta in questo concetto, che stamattina esprimerà davanti alla platea Pd, lo spirito con cui Matteo Renzi affronta le minacce di scissione della sua minoranza.
Nessuna trattativa ad oltranza, nessun compromesso a tutti i costi: alla vigilia della fatidica Assemblea nazionale che potrebbe sancire la spaccatura del partito di maggioranza, il leader del Pd si mostra tutt'altro che atterrito dalle minacce degli aspiranti scissionisti. Certo, ha telefonato a Michele Emiliano e pure a Roberto Speranza (a Pier Luigi Bersani no, fino a ieri sera), ma senza concedere nulla sulla tabella di marcia stabilita, «che del resto - ricorda - era quella che chiedevano loro fino a poco fa, quando minacciavano carte bollate per reclamare il congresso subito». Come dice Lorenzo Guerini, «gli ultimatum sono inaccettabili». Quindi: congresso nei tempi previsti, e primarie entro il 7 maggio per evitare sovrapposizioni con la campagna per le amministrative. Matteo Orfini mette sul tavolo anche la proposta di una conferenza programmatica prima del congresso. Insomma, si cerca di togliere ai rivoltosi ogni pretesto che non sia il «morte a Renzi» per giustificare la rottura.
A Speranza (che nel frattempo aveva telefonato a Guerini ponendo come condizione che Renzi, dimissionario, faccia eleggere un nuovo segretario per la fase congressuale, «come fece Bersani con Epifani», altrimenti «ce ne andiamo»), ha chiesto a brutto muso: «Ma dove vai, Roberto, dove c... andate?». Con il sottinteso: chi mai si farà carico di rieleggere quella ventina di deputati e quindicina di senatori bersaniani che potrebbero seguirlo fuori dal Pd?
Emiliano ieri mattina annunciava solenne urbi et orbi: «Ho convinto Renzi a sostenere il governo fino a fine legislatura». La versione di Renzi è un po' diversa: «Mi sono limitato a ripetergli esattamente quel che ho detto in Direzione - ha spiegato ai suoi che chiedevano lumi - e cioè che Gentiloni ha il massimo sostegno del Pd, e che non sono certo io a decidere sulla durata del governo». La verità, secondo i renziani, è che sia in corso una sorta di scissione nella pre-scissione: Emiliano e anche Enrico Rossi stanno cercando un modo per smarcarsi dalla rottura e tornare sui propri passi. Il vanesio governatore pugliese perché non gli par vero di fare lo sfidante di Renzi alle primarie e il nuovo capo della minoranza sudista del Pd. Quanto a quello toscano, la scissione lo inguaierebbe assai: 20 consiglieri sui 22 Pd che sostengono la sua giunta sono renziani, e Rossi rischia di essere giubilato in Regione. Mentre nel Pd può sempre sperare in una candidatura, magari alle prossime europee. Se davvero i tonitruanti rivoltosi del teatro Brancaccio finissero per dividersi, e Bersani si ritrovasse solo con D'Alema a cantare Bandiera rossa e Bella Ciao (ieri in casa renziana le ironie sull'iconografia tardo-comunista della manifestazione si sprecavano: «Sembra il partito di Corbyn») la scissione si rivelerebbe meno devastante del previsto.
«Dicono che faranno nuovi gruppi, annunciano 40 deputati e 30 senatori: vedremo i numeri reali», dicono in casa renziana. «E vedremo chi sta con il Pd e chi sta con D'Alema contro il Pd». Con una convinzione segreta: se la scissione ha i baffi di D'Alema, il Pd non ha che da guadagnarne: «Recuperiamo voti moderati».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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