I rapporti tra Lega e Cinquestelle, nel day after del caso Siri, toccano i minimi storici dall'inizio dell'avventura governativa. E nella squadra dei ministri salviniani la tentazione di alzare il pressing e chiedere la fine dell'esperimento gialloverde si fa sempre più forte.
Fin dalla mattinata tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini è scontro aperto. Il capo politico dei Cinquestelle accusa la Lega di minacciare la crisi, bolla come «sceneggiata mediatica» le accuse a Virginia Raggi e rilancia le indiscrezioni sui contatti tra il Carroccio e Silvio Berlusconi per un esecutivo di emergenza. Il leader della Lega replica con una nota gelida, corredata da una stoccata sul reddito di cittadinanza che rischia di finire «a furbetti, delinquenti ed ex terroristi». Poi con il trascorrere della giornata Salvini stempera i toni, ma c'è un piccolo lapsus che accende la fantasia dei cronisti e inevitabilmente fa scomodare Sigmund Freud. «Questo governo sta facendo bene e può andar avanti bene per altri quattro mesi», un errore subito corretto in «anni», mentre Giancarlo Giorgetti interpellato da Affaritaliani sui presunti contatti con Forza Italia è tranchant: «Una palla colossale. Mah ... figurati, saranno tre mesi che non gli parlo». In serata poi è il caso del figlio dell'imprenditore Arata, indagato, e assunto con un contratto di consulenza a Palazzo Chigi dallo stesso Giorgetti, a gettare ulteriore benzina sul fuoco e ad alimentare il clima dei sospetti reciproci. Il tutto mentre non c'è ancora stato nessun contatto o chiarimento tra Giuseppe Conte e Armando Siri.
L'impressione è che si cammini ormai sul filo sottile della crisi, ma la resa dei conti sia rimandata a dopo le Europee, quando si avrà la fotografia dei nuovi equilibri e una misurazione reale del consenso politico. Informalmente i leghisti parlano di «rapporti compromessi», ma nessuno si spinge fino a dare per sicure le elezioni anticipate, anche se si guarda con molta attenzione a ciò che accadrà sul Decreto Crescita che arriverà in Consiglio dei ministri il 23 aprile. Se davvero il cosiddetto «salva Roma» dovesse saltare potrebbero essere i Cinquestelle ad affondare il colpo.
Dentro il centrodestra le elezioni anticipate vengono considerate come un evento sempre più probabile con le Europee che si avviano a essere vissute come vere e proprie primarie, l'ultimo test utile per stabilire la griglia di partenza alle Politiche. In base alla percentuale che si prenderà il 26 maggio, in sostanza, ci sarà la distribuzione dei seggi. Se la Lega dovesse ottenere un risultato importante al Sud il centrodestra rischierebbe di vincere tutti i collegi da Roma in giù. In questa chiave il rallentamento della questione delle autonomie potrebbe aiutare a massimizzare il risultato elettorale nelle regioni del Meridione. Inoltre c'è anche chi ipotizza che se la Lega supererà quota 34% potrebbe scattare la tentazione della navigazione solitaria oppure la spinta verso un partito unico sovranista con Fratelli d'Italia.
Di certo Salvini, pur all'interno di un partito che fa della coesione interna la sua cifra distintiva, deve fare i conti con il malumore montante nel suo stato maggiore. Luca Zaia avrebbe confidato ai suoi fedelissimi che «se Matteo non li molla ora, non li molla più». Il viceministro Edoardo Rixi fa notare che la Lega «chiedeva solo di aspettare il Consiglio dei ministri della serata per discutere assieme del caso Siri. Se fosse successo a qualcuno del M5s, noi avremmo fatto così.
Il metodo è anche sostanza». E il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, aggiunge: «Ogni giorno se ne inventano una. È vero che siamo in campagna elettorale per le Europee, ma la smettano e si torni a governare bene come fatto in questi mesi».
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