A sole 36 ore dal baratro che avrebbe fatto precipitare il Paese nell'esercizio provvisorio, l'autoproclamato «governo del cambiamento» vara finalmente quella che solo tre mesi fa la narrazione gialloverde definiva, forse con un pizzico d'enfasi, «la manovra del popolo». Novanta giorni dopo ci ritroviamo con una legge di Bilancio completamente rivoluzionata rispetto al testo che aveva portato un trionfante Luigi Di Maio sul balcone di Palazzo Chigi. E soprattutto ci ritroviamo con un conto piuttosto salato da pagare in termini di spread e di perdite di Borsa. Difficile fare davvero il calcolo di quanto ci siano costati questi tre mesi di minacciata guerra a Bruxelles, anche se chi se ne intende si muove in un range tra i cinque e i dieci miliardi di euro. Pure dando per buono il dato più prudente, davvero un conto salato per uno scherzo da campagna elettorale.
Già, perché i toni muscolari dei mesi estivi e le urla contro l'Unione europea sono finiti per trasformarsi in una timida preghiera di compromesso. Nel primo atto erano Di Maio e Matteo Salvini a menar fendenti a ripetizione, nel secondo è invece toccato soprattutto a Giuseppe Conte cercare una mediazione con il capo cosparso di cenere. Il tutto solo per soddisfare i toni trionfalistici di Lega e M5s che, non a caso, sono stati attentissimi a non mettere la faccia sulla trattativa con Bruxelles, gestita tutta sull'asse Palazzo Chigi-Quirinale. Lo scherzo, d'altra parte, è tutto a carico degli italiani, che alla faccia della «manovra del popolo» si ritrovano con una legge di Bilancio che inverte il trend degli ultimi anni ed aumenta le tasse: dal 42% del 2018 al 42,4% del 2019 per arrivare al 42,8% nel 2020 e al 42,5% del 2021. Previsioni che non arrivano dalle opposizioni ma dall'Ufficio parlamentare di bilancio e che peraltro non tengono conto delle clausole di salvaguardia, altro nodo spinosissimo di questa manovra. Per il 2019, infatti, il governo è riuscito a scongiurare l'aumento dell'Iva, ma il problema si riproporrà per il 2020 e 2021. Se l'esecutivo non troverà le risorse per disinnescarle come è accaduto finora, scatteranno aumenti per 23 miliardi nel 2020 e quasi 29 miliardi nel 2021. Per un totale di complessivi 52 miliardi.
Questo, dunque, è il risultato di una legge di Bilancio scritta come fosse un post su Facebook a settembre e che poi, in questi mesi, ha dovuto fare i conti con la realtà dei numeri e della Realpolitik. Tre lunghi mesi che avrebbero potuto essere utilizzati per ragionare sulle misure, invece di dover passare il tempo a inseguire Jean Claude Juncker e Pierre Moscovici sperando nei loro buoni uffici. Il tutto per poi ridursi a fare una surreale corsa contro il tempo, con il Parlamento che è andato avanti a votare fino a ieri una manovra che non ha potuto non solo discutere ma neanche leggere. E che ieri pure Sergio Mattarella ha controfirmato in tutta fretta, quasi a voler allontanare il più velocemente possibile il fantasma del temutissimo esercizio provvisorio.
Tutto ciò con un paradosso: i due provvedimenti chiave di questa legge di Bilancio sono infatti ancora da scrivere. Sappiamo quanto è stato stanziato per il reddito di cittadinanza e per quota 100, ma tutto resta congelato finché un decreto ad hoc non regolamenterà la materia. Insomma, dopo esserci già costata tre mesi di guerriglia con Bruxelles con spread e Borsa sull'ottovolante, la «manovra del popolo» è destinata ad avere un velenosissimo strascico a gennaio.
È evidente, infatti, che M5s e Lega continueranno con il tira e molla per portare a casa il miglior risultato possibile da presentare poi al proprio elettorato di qui a fine maggio. Quando le elezioni Europee potrebbero riscrivere non solo gli equilibri all'interno dell'Unione europea, ma anche quelli dell'attuale maggioranza che sostiene il governo gialloverde.
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