L'esercito dei servizi sociali ci costerebbe 4,5 miliardi

Per ogni coscritto una diaria mensile di 700 euro Il rischio: creare un'economica manodopera giovanile

L'esercito dei servizi sociali ci costerebbe 4,5 miliardi

Ritorno alla leva obbligatoria? Il sasso nello stagno lo lancia il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, anche se poi precisa che si riferisce a «un progetto degli alpini per coinvolgere i giovani nel servizio civile universale». Chi ha portato le stellette per una vita è diviso fra ristabilire la leva con 2 o 3 brigate di coscritti e chi fa notare che non ci sono i soldi neppure per l'esercito di professione. Per non parlare delle proposte di legge che giacciono in Parlamento, che propongono un servizio civile obbligatorio per tutti i giovani dai 18 ai 28 anni, che costerebbe 4,5 miliardi di euro.

«Sono per un ritorno alla leva obbligatoria. - spiega Marco Bertolini, generale dei paracadutisti in servizio fino all'anno scorso -. Ovviamente non stiamo parlando di un esercito di 300mila coscritti come un tempo, ma di 2-3 brigate, in tutto 10-15 mila giovani, che si possono sistemare nelle caserme rimaste». Secondo l'alto ufficiale di lunga esperienza un ritorno alla naja avrebbe un'importanza di carattere sociale: «Farebbe capire ai giovani che devono qualcosa allo Stato, che non esistono solo diritti, ma anche doveri». Non mancano le motivazioni strettamente militari. «Il valore aggiunto dell'esercito è la capacità di mettere in campo tanti uomini - spiega Bertolini -. Un reggimento è in grado di bloccare un quartiere di Roma, in caso di grave attentato. La polizia non ha questa capacità». In pratica ci sarebbe bisogno di «una difesa militare territoriale» composta da personale di leva per alleviare le unità professionali impiegate soprattutto nelle operazioni all'estero da alcuni compiti interni. «Professionisti in grado di far intervenire l'appoggio aereo in Afghanistan devono fare i piantoni di Strade sicure, un'operazione che potrebbe coinvolgere la leva», osserva Bertolini. «Per non parlare del fatto che non abbiamo più riserve - aggiunge -. Un altro motivo per rimettere in piedi 2-3 brigate di coscritti».

Il dibattito sul ritorno alla leva si sta aprendo a livello europeo. La Svezia vuole censire tutti i giovani arruolabili dal 2019. La Lituania ha sospeso la leva per poi reintrodurla nel 2015 temendo, a torto o a ragione, l'orso russo. Durante la campagna elettorale francese si è parlato di formazione militare obbligatoria di 6 mesi contro la minaccia del terrorismo.

Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa, è convinto che «l'esercito professionale sia l'unica soluzione possibile. Tornare alla leva sarebbe uno spreco di quattrini inaccettabile di questi tempi». L'ex generale degli alpini, Carlo Cabigiosu, però, ammette che «un esercito piccolo come il nostro dovrebbe avere alle spalle una riserva come in Svizzera e Inghilterra».

Il ministro Pinotti si riferiva soprattutto ad un progetto di servizio obbligatorio civile dell'Associazione nazionale alpini. In realtà le penne nere ipotizzano un periodo di richiamo per tutti i giovani, da 6 a 12 mesi, al termine del ciclo scolastico, da inquadrare in unità di tipo militare con marce, autodifesa, vita in comunità, disciplina, rispetto delle regole e dei superiori. Il programma di naja «civile» punta sull'educazione fisica, morale, la sicurezza con la possibilità di trovare sbocchi lavorativi nella Protezione civile, i Vigili del fuoco e nel Corpo forestale oppure la ferma come volontario nelle forze armate.

Una proposta di legge della Lega prevede per i giovani dai 18 ai 28 anni, 12 mesi di servizio civile con impiego nelle emergenze, tutela del patrimonio ambientale e artistico, operazioni di protezione civile, servizi sociali. Il costo previsto con una diaria non indifferente di 700 euro al mese è di 4,5 miliardi l'anno, che dovrebbero arrivare soprattutto dai fondi europei e dal taglio di costi della politica.

Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, è scettico: «Attenzione al puro servizio

civile. Potenzialmente si rischia di creare una manodopera giovanile a basso costo, che magari viene mobilitata per accogliere gli immigrati illegali nei centri di accoglienza aiutando Ong, cooperative ed enti cattolici».

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