Lettere Ue e sondaggi a picco Renzi si riscopre euroscettico

Attesi per oggi i richiami di Bruxelles sui conti pubblici. L'arroganza del leader Pd: "Dopo le riforme io più forte"

Lettere Ue e sondaggi a picco Renzi si riscopre euroscettico

Roma - Se vogliamo, è già diventato un «Renzi contro tutti». Isolamento, nervosismo e debolezza ormai palpabili, persino a un «termometro del potere» sensibilissimo come l'atteggiamento dell'ex presidente Rai Lucia Annunziata durante la sua trasmissione In mezz'ora. Ieri, ospitando Renzi, ha sfoderato un'aggressività inconsueta, finora riservata solo agli oppositori del padrone del vapore in carica.

Se non ci fossero di mezzo le bugie e i metodi inaccettabili del premier, più qualche idea di fondo profondamente errata, si potrebbe anche concedere qualche attenuante. L'idea di fondo è il legame preteso tra vittoria nel referendum, affermazione del proprio potere assoluto e possibilità di sovvertire i rapporti di forza con Bruxelles. Sostiene Renzi: «Un'Italia forte nel fare le riforme sarà più forte anche in Europa. Nel '17 discuteremo del fiscal compact, votato nel '12 da Monti, Berlusconi e Bersani. Si dovrà decidere se metterlo nei trattati. L'Italia più forte potrà dire la sua, e vorrei vedere anche le opposizioni impegnate... Perché venirmi contro a prescindere?».

Eppure imminente è la lettera di richiamo della Commissione Ue: per i conti «allegri», gli impegni non rispettati e quello 0,1 per cento in più nel deficit (vale circa 1,6 miliardi di Pil) che, nella strategia renziana, sarebbe la forzatura necessaria, il grimaldello per rimettere l'Italia al centro dei giochi. Concetto espresso dal ministro Padoan con una frase a effetto l'altro giorno: «La Ue scelga tra noi e l'Ungheria». La tesi sembra dettata da un'arroganza che non ha mai pagato, in campo Ue, specie con interlocutori che hanno al loro arco la freccia di un debito pubblico, il nostro, fuori controllo. «Non so quando arriverà la lettera di richiamo - fa spallucce il premier - Ne arrivano di continuo, a noi e agli altri. Ma il punto non è quello, come non è lo 0,1 per cento. Noi diamo una mano a salvare vite di migranti e ora quelli dell'Est, cui abbiamo dato una mano dopo la caduta del Muro, chiudono le porte. Il punto è riportare al centro dell'interesse l'Italia. Lo 0,1 non è decisivo. Semplicemente noi contribuiamo con 20 miliardi al bilancio europeo e ne vediamo tornare indietro 12. Allora, possiamo far sì che l'Europa oltre ai soldi si prenda anche i migranti? Io difendo l'Italia, non il governo Renzi, è una battaglia storica...».

Il problema non sta allora nell'idea di farsi valere, bensì, ancora una volta, di farlo nel modo sbagliato. Come per la manovra imposta, nella sua parte «elettorale», per decreto legge («aberrazione senza precedenti», la giudica l'azzurro Brunetta appellandosi al presidente Mattarella). Senza che neppure un testo della finanziaria annunciata una settimana fa sia ancora arrivato in Parlamento. «Il termine non è perentorio, la manderemo alla Camera entro questa settimana», dice Renzi. Che rivendica la retromarcia sul contante, la truffa su Equitalia e non riesce a trattenere battute acide, a tutto campo, sul Fisco «oppressivo di Visco» o sullo sciopero dei magistrati, «Vogliono scioperare? Lo facciano, neppure so perché».

O quella sparata con sommo godimento a inizio trasmissione. «L'endorsement di Obama per il Sì? C'è chi si tiene Obama e chi D'Alema...», sibila sorridendo come Franti, l'infame del libro Cuore. Il giorno della pagella è sempre più vicino, però.

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