In questi giorni Matteo Renzi sta sperimentando, seppure in forma omeopatica, una sorta di «trattamento B» da parte dell'establishment politico e finanziario europeo. Quattro ex presidenti del Consiglio, un ex presidente della Repubblica, gli «amici» del presidente della Bce e la stampa che conta (Financial Times, Frankfürter Allgemeine e New York Times) lo hanno messo nel mirino. Lo stesso presidente del Consiglio è consapevole che Berlino, Bruxelles e Washington sarebbero contenti di poterlo sostituire con un robot telecomandato come nel 2011. Le condizioni, per fortuna di Matteo sono diverse e le turbolenze dei mercati meno esasperate.Partiamo dalla fine. Ieri il Financial Times, due giorni dopo aver sottolineato che «la fortuna di Renzi si sta esaurendo», è tornato all'attacco rielencando tutti problemi del nostro premier: migranti, economia e banche concentrandosi sull'ultimo. La sintesi dell'editoriale non firmato è sostanzialmente questa: «Inutile tergiversare su 350 miliardi di crediti dubbi, alle banche italiane serve il bail-in e i piccoli risparmiatori non possono rappresentare un ostacolo per il consolidamento del sistema bancario». Insomma, al presidente del Consiglio starebbe difettando il coraggio di chiudere la partita per calcoli elettorali: bisognerebbe far fallire le banche italiane per eliminare il problema alla radice.E sempre di curare i medesimi interessi di bottega l'ha rimproverato pubblicamente in Senato mercoledì scorso l'ex premier Mario Monti affermando che «non manca occasione per denigrare le modalità concrete di esistenza dell'Ue». E non è un caso che vicino a Monti fosse seduto un altro senatore a vita, l'ex capo dello stato, Giorgio Napolitano, che in una recente intervista a Repubblica ha dato ulteriore segno di sensibilità verso la Bundeskanzlerin Merkel invitando il premier a liberarsi dallo «stereotipo di una Germania dominante». Monti e Napolitano sono i collettori materiali di una serie di input esterni ai quali, per gran fortuna del premier, l'attuale inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella, ha dimostrato di sapersi sottrarre con composta fermezza. Input esterni che sono in grado di captare anche tre uomini che conoscono molto bene Palazzo Chigi: Romano Prodi, Massimo D'Alema ed Enrico Letta i quali, secondo Il Foglio, lavorano per «preparare la strada a un'alternativa», magari con la faccia del presidente Inps Tito Boeri. Non a caso Letta si è lamentato dell'«isolamento dell'Italia», evidenziato pure dall'eurosocialista Martin Schulz che di Renzi dovrebbe essere amico.Non si può sempre sperare nella buona sorte. È da più di un mese che i segnali negativi si addensano sulla testa di Renzi. Praticamente da quando la Frankfürter Allgemeine ha squadernato tutti i potenziali conflitti di interesse del premier (dai rapporti con i finanziatori della Leopolda fino al dossier Banca Etruria) alla vigilia dell'incontro con la cancelliera. Una sorta di comitato di benvenuto in anticipo. La causa di questa campagna antirenziana, a differenza del caso Berlusconi, è però nelle scelte di politica economica del premier.
Lo si evince dal paper Luiss (di cui Il Giornale ieri ha dato conto) curato da economisti più o meno vicini a Mario Draghi. Troppo deficit nella Stabilità, pochi tagli alla spesa e poca disponibilità a una patrimoniale se necessaria. Per ritornare al 2011, manca solo la letterina della Bce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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