Renzi probabilmente sta morendo di invidia in questi giorni pensando a Tsipras. Alexis il greco è arrivato in Europa e ha monopolizzato (nel bene e nel male) la scena. In confronto, la novità del presidente (si fa per dire) del Consiglio italiano in Ue è durata quanto il tempo di un falò. Smacco non facile da sopportare per un vanesio italico con manie di protagonismo.
Eppure, le condizioni affinché il governo italiano imprimesse la svolta buona in Europa c'erano tutte. Semplicemente non ha saputo sfruttarle. Basti pensare alle nomine dei commissari della scorsa estate, quando invece di ottenere posti chiave in ministeri economici, fondamentali per suggerire un nostro modello per uscire dalla crisi, l'Italia ha sprecato tutto il suo credito e giocato tutte le sue fiches per la (inutile) nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. O si pensi, ancora, alla grande occasione sprecata del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, dal 1° luglio al 31 dicembre 2014, passato invano.
Capito di che pasta è fatto Renzi, senza una posizione definita su alcun tema, dunque inutile in qualsiasi trattativa, l'Italia è stata così esclusa da tutti i vertici che contano, in quanto rappresentata da un governo portatore di nessun valore aggiunto. Da tutti i luoghi in cui c'era da decidere, il nostro governo è stato tagliato fuori, in quanto irrilevante, inesistente, ininfluente. In una parola, inutile. Succederà così anche domani, quando Merkel, Hollande e Poroshenko si troveranno a Berlino per discutere di Ucraina. Non è la prima volta, né sarà l'ultima.
Allo stesso modo l'Italia non era presente lo scorso giovedì al vertice in cui si è discusso di immigrazione. Francia e Gran Bretagna si sono accordati tra loro, senza neanche consultarci, per quanto il nostro paese fosse coinvolto al pari degli altri due. Risultato: blocchi, aiuti umanitari per i profughi forniti da Londra a Parigi. E noi? Noi fuori gioco. Ennesima dimostrazione che non contiamo niente di niente.
Peccato, però, che quando c'è da pagare il nostro paese sia sempre in prima fila. Per quanto riguarda la crisi economica, per esempio, l'Italia è il terzo finanziatore del Fondo Salva Stati, con 60 miliardi di euro versati, dopo Germania (91) e Francia (68), ma nei negoziati sul salvataggio della Grecia Matteo Renzi non ha toccato palla.
Un'altra trappola ci sta per essere tesa. Anche il famoso, in quanto farlocco, piano Juncker degli investimenti, quello che dovrebbe far ripartire la crescita nell'eurozona, è finanziato dagli Stati membri dell'Ue. L'Italia ha già versato, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, 8 miliardi di euro. Anche in questo caso in pole position come paese finanziatore, seconda solo alla gran Bretagna (8,5), e pari merito con Germania, Francia e Polonia. Anche qui, peccato che, per ora, i soldi di quel piano siano stati utilizzati per finanziare progetti di imprese finlandesi, danesi e austriache. Stiamo pagando, insomma, per lo sviluppo degli altri paesi. Tra l'altro, proprio di quelli che non ne hanno bisogno, ma sono evidentemente più attivi nel proporre idee e a prendere risorse dall'Ue piuttosto che a darle.
D'altronde il copione è sempre il solito: è andata così anche con il già citato Fondo Salva Stati, per lungo tempo inattivo nonostante i versamenti effettuati dai paesi e le emergenze in Spagna, Grecia e Cipro, e le cui risorse sono state invece investite in titoli di Stato dei paesi dalla tripla A. A guadagnare da una gestione a trazione tedesca della crisi europea sono stati, quindi, sempre i soliti paesi, vale a dire quelli chiamati ai tavoli che decidono.
Matteo Renzi non è riuscito a insinuarsi, prendendo una posizione e alleandosi con l'uno o l'altro paese, neanche in uno screzio che si è consumato tra Germania e Francia, quando il 19 luglio, in occasione delle celebrazioni per i 90 anni di Jacques Delors, François Hollande ha lanciato la sua proposta per ridare una dimensione politica all'eurozona, con un governo e un Parlamento comuni. Mentre la settimana successiva, sempre di domenica, il settimanale Der Spiegel ha fatto trapelare l'idea di Wolfgang Schäuble di creare un super ministro delle Finanze dell'eurozona, che gestisse un «bilancio separato», magari finanziato da un'eurotassa.
La proposta francese aveva, e ha tuttora, il pregio di cambiare le carte in tavola in Europa: non più l'imbuto voluto dalla Germania ma una nuova unione in cui davanti a tutto c'è la politica e la responsabilità. La proposta tedesca, invece, sembrava/sembra muoversi in direzione opposta, volta com'è a stringere ulteriormente l'imbuto dei controlli da parte di una burocrazia comunitaria (sotto il controllo tedesco) sempre più occhiuta e rafforzata. Di questo scontro Renzi non ha capito nulla o, ed è ancora più grave, non ha saputo con chi schierarsi: se fare asse con la Francia, e magari la Spagna, oppure obbedire anche in questa occasione ad Angela Merkel.
Poi c'è stato l'incontro Renzi-Merkel di martedì scorso, e tutto si è chiarito. In cambio di un piatto di lenticchie, un permessuccio (forse) per un po' di flessibilità (forse) nei conti, il governo italiano ha ancora una volta consegnato le chiavi dell'Italia alla Germania.
Renzi appare un Quisling, un governo fantoccio. Non solo non partecipa, come abbiamo visto, agli incontri decisivi, ma neanche informa il suo Parlamento dell'esito degli stessi, di cui a lui riferiscono Francia e Germania. Figurarsi, poi, se, stando così le cose, al Parlamento italiano su quei temi viene chiesto di votare, come è avvenuto per esempio sul terzo piano di aiuti alla Grecia al Bundestag, con tanto di ministro delle Finanze e Cancelliera presenti e attenti in Aula.
L'Italia assiste spettatrice, pagante, alla vittoria delle banche e delle aziende tedesche, che continuano a comprarsi, con i nostri soldi, i nostri gioielli di famiglia, da ultimi porti e aeroporti. Al danno, vale a dire i soldi versati dall'Italia ai vari meccanismi europei di salvataggio dei paesi in difficoltà, la beffa derivante dalla constatazione che quelle risorse non sono state usate per i motivi per cui sono state versate -ripetiamo: salvare i paesi in difficoltà - bensì per rimpinguare le casse dei carnefici. Una sorta di sindrome di Stoccolma finanziaria.
Noi paghiamo e basta, insomma. Ma forse è così che vanno le cose negli imperi. C'è il centro, dove vigono democrazia, dibattito politico serio, potere decisionale. E ci sono le colonie e gli Stati satelliti, «a sovranità limitata», dove la democrazia è un optional.
Tornando alla Grecia, infine, essa fa storia a sé. Tsipras si è dimesso e ha indetto elezioni, per riplasmarsi e salvaguardare una doppia esigenza di sopravvivenza: la sua, soprattutto; e in subordine quella del suo Paese, vivo, ma con una bella catena al collo. Il metallo più o meno nobile di questa catena lo si vedrà. Comunque vadano le elezioni il risultato non cambia. Catena è e sarà. Ha vinto la Germania, che ha imposto le sue regole alla Grecia. Ha vinto l'impero.
Lo stesso dicasi per la nostra Italia: finché c'è Renzi non c'è speranza, ma sudditanza. Finché non c'è un'iniziativa politica vigorosa che coinvolga almeno Italia e Francia, portando la Germania ad almeno dimezzare il suo surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, cosa che tra l'altro non solo la Commissione europea, ma anche il Tesoro americano attraverso il Fondo Monetario Internazionale chiedono da anni, attraverso la reflazione; finché Francia e Italia non denunciano l'operato di un'Unione a trazione tedesca; finché perdura lo status quo, siamo una colonia.
Nota bene. Esiste oggi un unico contropotere allo strapotere tedesco: è la Bce di Mario Draghi. Sarebbe il caso che Francia e Italia non lo lasciassero solo in una battaglia in cui la posta non è solo la democrazia, ma anche la prosperità dei popoli europei.
Una Ue a trazione tedesca, un impero a egemonia tedesca è per sua natura destinato a essere un piccolo impero, schiacciato a est da Russia-India-Cina; a Ovest dall'America-Giappone. E oggi persino a Sud, vedi alla voce Stato islamico. A Matteo Renzi, evidentemente, va bene così. Agli italiani, e agli europei, purtroppo, no. E il nostro autunno prossimo venturo rischia di essere nero, molto nero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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