A Strasburgo va in scena la crisi europea, con il suo nuovo epicentro a Roma. Nell'aula del Parlamento, il giorno dopo la richiesta ultimatum a cambiare la manovra, si accende lo scontro tra populisti e europeisti, il presidente Antonio Tajani duella con il capo Brexiter Nigel Farage, durante un infuocato dibattito tutti contro tutti sul passato nazi-fascista del continente, e i suoi possibili ritorni sotto altre spoglie.
Intanto, a qualche migliaio di chilometri di distanza, il presidente del Consiglio italiano Conte in quel di Mosca duetta affettuosamente con il gran nemico dell'Unione europea, Vladimir Putin: «La Russia è un partner strategico per l'Italia», dice solenne Conte, spiegando di essere lì per dimostrare al presidente russo la «costante disponibilità dell'Italia al dialogo», e il suo dissenso sulle sanzioni inflitte a Mosca per l'invasione della Crimea: «Le sanzioni non possono essere un fine ma un mezzo per risolvere le divergenze». La visita non è casuale: la Russia, nelle speranze non si sa quanto fondate del governo, potrebbe aiutare l'Italia ad evitare il tracollo dei mercati, mettendo mano al portafoglio. Putin loda la cooperazione con l'Italia e sul resto non si sbilancia troppo anche se dice: «Non ci sono remore sull'acquisto dei titoli di stato italiani dal fondo sovrano russo», sebbene «oggi non ne abbiamo discusso».
La giornata si apre con un monito accorato e inquietante lanciato dal commissario Ue Moscovici, che evoca il passato più cupo per l'Europa. Citando il gesto inconsulto dell'eurodeputato leghista Ciocca, Moscovici dice: «L'episodio della scarpa made in Italy è grottesco. All'inizio si sorride e si banalizza perché è ridicolo, poi ci si abitua ad una sorda violenza simbolica e un giorno ci si risveglia con il fascismo. Restiamo vigili. La democrazia è un tesoro fragile». Di li a poco, nell'Europarlamento, è Antonio Tajani ad evocare quegli stessi spettri: «Non credo che in quest'aula ci siano nostalgici o eredi del nazismo e della dittatura comunista sovietica, due orribili e devastanti sistemi politici che hanno arrecato ferite profonde all'Europa», dice. «La dittatura comunista ha finito la sua stagione proprio quando molti Paesi dell'Est sono entrati in Europa», sottolinea. E poi, rivolto all'ex capo di Ukip e sostenitore della Brexit, che ridacchia allegramente, tuona: «C'è poco da ridere, c'è da rispettare le idee degli altri. Risus abundat in ore stultorum. Farage impari a rispettare gli altri, perché questa è la democrazia, lei evidentemente è nostalgico di qualche dittatura se non rispetta le opinioni degli altri. Noi abbiamo sempre rispettato le sue, lei non ha alcuna autorizzazione a non rispettare quelle degli altri. Rimanga in silenzio». E, mentre l'aula applaude fragorosamente, resta in silenzio a fissare Farage.
Ma sotto accusa finiscono anche i rappresentanti della Commissione e del Consiglio presenti in aula, Timmermans e Tusk: «Il Consiglio è la paralisi dell'Unione. Le nostre proposte finiscono lì e poi non si sa che fine fanno. Non decidete mai niente», dice la liberale olandese Veld.
E la dem italiana Toja rincara: «L'ultimo è stato un Consiglio europeo del nulla. Siamo a fine legislatura, perché ridurci così? Queste rinunce spalancano le porte ai nemici dell'Europa, che crescono».
Intanto, a Roma, il ministro Tria ammette la gravità della situazione («Lo spread a 320? È un livello che non possiamo mantenere molto a lungo») e lancia messaggi anche al governo di cui fa parte (meglio «abbassare tutti i toni»).
Il ministro si ritrova però un nuovo problema, a proposito di banche: martedì la Lega ha fatto mancare il proprio decisivo appoggio a Andrea Enria, candidato italiano al ruolo cruciale di capo della vigilanza Bce sul sistema bancario. Enria partiva favorito e ha avuto il voto di tutti i rappresentanti italiani, tranne la Lega. «Non è dei nostri», si fa sapere. Così l'Italia rischia di perdere una delle poltrone chiave in Ue.
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