Prima norma per battere il terrorismo: collegare le informazioni all'azione. Altrimenti la preda siamo noi. La guerra ormai ce l'abbiamo a casa. Chi la conduce? Chi la finanzia? Chi la copre?
L'affresco è sotto i nostri occhi, basta osservarlo senza pregiudizi e le risposte, magari non totali ma significative ci suggeriranno il da farsi. Ed è un disegno molto largo quello che i terroristi sono riusciti a dipingere ieri: mezzo mondo e le leadership più importanti sono in stato di shock, il terrore si mescola alla zizzania internazionale. Addirittura l'uomo arrestato a Berlino non è il jihadista del camion, che si aggira armato; il camion ritorna, una baldanzosa affermazione di assassinio di massa, l'invenzione geniale che qualsiasi veicolo può improvvisamente sterzare a ammazzare proprio te, come a Nizza e in decine di occasioni in Israele. La Merkel balbetta la sua condanna al terrorismo islamico che mal si combina con la sua politica di accoglienza. I tedeschi hanno buone ragioni per frenare l'aggressività del loro stesso popolo, ma è inutile, per esempio, che Colonia dove centinaia di donne sono state violentate e derubate l'altro Capodanno, di nuovo adesso indica una festa in piazza. È pazzesco che in Europa le feste pubbliche di Natale, già minacciate più volte (a Ludwigshafen un ragazzino di 12 anni di origine irachena alla fine di novembre ha messo una bomba in un mercato di Natale) non siano sorvegliate. E in Turchia che dire della inverosimile incapacità nell'individuare, nel fermare persino dopo gli spari il giovane sunnita che ha assassinato l'ambasciatore russo, le paradossali immagini che non sanno di essere il ritratto della morte stessa. E adesso quanto sforzo nel bloccare gli antichi sentimenti di odio russo-turco, sedato in questo periodo solo per affiancarsi a quell'assassino di Bashar Assad e ai suoi alleati iraniano-hezbollah.
E qui occorre sottolineare di nuovo che l'alleanza della Russia ma anche l'acquiescenza americana con gli sciiti è foriera solo di una immensa rottura sanguinosa col mondo sunnita terrorizzato ma maggioritario, e questo non porta pacificazione ma solo guerra per tutti.
Come si può riuscire a combattere la guerra che intanto ha investito Francia, Belgio, Germania in pieno e altri Paesi parzialmente? Si fa come Israele, ovvero si pagano dei prezzi teorici e pratici: per difficile che sia Francia, Belgio e Germania e anche l'Inghilterra devono piegarsi all'idea che i loro stessi cittadini di origine orientale talora desiderano distruggerli. Prima di tutto occorre lavorare sui propri principi, sul proprio desiderio di vivere: con la democrazia si deve mantenere il senso di una società che vale davvero la pena per ogni giovane. Non si può vergognarsi di amarla, come succede spesso in Italia. Bisogna spogliare l'ideologia del nemico dalle romanticherie terzomondiste e capire che la sua è una teoria di distruzione totale della nostra civiltà. La prevenzione è l'arma essenziale: occorre fermare gli attacchi con la raccolta senza remore di informazioni. Per questo si devono collegare i vari corpi fra loro e con gruppi internazionali anche nemici.
Bloccare prima un attentato restituisce fiducia, dà tempo di organizzarsi per prendere i colpevoli. In ambienti pubblici occorrono blocchi, i famigerati check point dove persino il profiling deve essere consentito. Ci vuole tempo, pazienza e nessuno deve dire «lei non sa chi sono io». L'ambiente del terrorista deve essere scandagliato e bloccato dalla possibilità di coprirlo, mamme o zie. Se si capisce che arrivano uomini, rifornimenti e armi dall'estero, occorre impedirlo: un esempio è il blocco del mare di Gaza per fermare Hamas. Se occorre anche l'esercito deve entrare in gioco (come con l'operazione che fermò la seconda Intifada entrando nei villaggi d'origine del terrore).
E in situazioni prive di scelta, come quella dove fu fermato Bin Laden o lo sceicco Yassin, occorre procedere persino con omicidi mirati. È vero, è così, duole, a Natale i Cristiani vorrebbero porgere l'altra guancia. Ma sembrerebbe che non se lo possano permettere se non a costo della vita dei loro figli.
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