Roma - L'Italia esporta giovani brillanti. Laureati, ricercatori, professionisti qualificati che arricchiscono il paese che li accoglie. Nel 2016 si stima che oltre 285.000 italiani abbiano lasciato la loro casa, una cifra vicina all'emigrazione che si registrò nell'immediato dopoguerra. Anche se gli espatri registrati sono «soltanto» 104.000. E tra gli italiani emigrati si calcola siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati. La loro formazione ha avuto un costo per l'Italia, che investe circa 130.000 euro pro capite per l'intero percorso di studi fino alla laurea.
Un patrimonio, che però andrà a vantaggio di altri: l'Inghilterra prima di tutto ma anche la Francia, La Germania, l'Australia. Intanto in Italia approdano migliaia di immigrati. La maggioranza però non ha alcuna qualifica, non parla la nostra lingua, non ha un mestiere, cerca soltanto di fuggire dalla disperazione. Dunque nel migliore dei casi rappresenta manodopera a basso costo per il lavoro nei campi o per l'assistenza domestica, colf e badanti. Nel peggiore manodopera per la criminalità. Certo si potrebbe investire nella loro formazione per qualificarli ma a questo punto il paradosso è evidente. Gli italiani formati a spese dell'Italia arricchiscono gli altri paesi mentre il nostro deve continuare ad investire se vuole che i migranti in arrivo da noi migliorino le loro condizioni. Sono pochi infatti rispetto alla media europea i giovani stranieri laureati. Solo l'11,8 per cento tra gli stranieri tra i 30 ed i 34 anni ha un titolo terziario. In Francia il divario fra stranieri e cittadini francesi è del 9 per cento mentre è praticamente assente in Germania e addirittura è più favorevole agli stranieri nel Regno Unito. La media dei laureati nella Ue tra i 30 ed i 34 anni, è del 39,9 per cento.
Eppure si continua a parlare molto di immigrazione e troppo poco di emigrazione. A denunciare il disinteresse per l'emorragia di giovani in continua crescita c'è tra gli altri anche Tuttoscuola la rivista specializzata attenta al mondo della formazione che si rivolge al governo giallo verde per chiedere se non ritenga la questione giovanile «una questione di straordinaria importanza, che dovrebbe trovarsi in cima all'impegno del Governo prima ancora di alcune decine di migliaia di migranti disperati che ogni anno premono sulle nostre coste».
I dati forniti dall'Aire, l'Anagrafe dei residenti all'estero, confermano la fuga degli italiani verso paesi che offrono loro prospettive migliori: nel 2006 erano poco più di 3 milioni nel 2017 sono saliti a 4 milioni 973.000. E da dove partono? Non più dal Sud. Nel 2016 in testa c'è la Lombardia con 22.981 registrazioni, seguita dal Veneto con oltre 11.000. Vista la mancanza di prospettive e anche di attenzione sembra poi che i giovani non credano neanche più nelle possibilità offerte dall'Università. E infatti i laureati in Italia diminuiscono. Siamo al penultimo posto in Europa prima della Romania: solo il 18,7 per cento degli italiani tra i 25 ed i 64 anni possiede un titolo di studio terziario. Quindi in pratica un laureato su tre non resta in Italia.
Aumentano i Neet, ovvero i ragazzi tra i 15 ed i 29 anni che non studiano né lavorano. In Italia hanno raggiunto la cifra record di 2 milioni e 189.000 nel 2017. Rappresentano il 24,1 per cento contro la media Ue del 13,4.
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