L'Italia si è fermata. E si crogiola in una condizione che è un unicum nel panorama internazionale. Ma questo suo poltrire senza preoccuparsi del futuro potrebbe esserle fatale. È l'allarme contenuto nell'ultimo libro di Luca Ricolfi, in uscita in questi giorni, dal titolo La società signorile di massa (La nave di Teseo). Il sociologo, che ha acquistato fama anche tra i non addetti ai lavori con il bestseller Perché siamo antipatici (2005) in cui analizzava lo «scollamento» della sinistra rispetto ai problemi del Paese e la supposta superiorità morale che finiva per rendere invisa la sua classe dirigente non sono alle opposizioni ma anche ai non schierati, torna in libreria con una tesi molto forte e provocatoria: l'Italia è un Paese caratterizzato da una società signorile di massa. Ovvero una società non povera. E del tutto differente, tra l'altro, rispetto alla narrazione che quotidianamente uomini politici di tutte le provenienze e giornali continuano a proporre. Non siamo senza lavoro, non siamo assediati da immigrati, non siamo senza benessere. Al contrario. La nostra società si fonda su tre pilastri ben precisi. Il primo riguarda la ricchezza accumulata dal dopoguerra a oggi. Ricchezza che consente alla maggioranza degli italiani (in età lavorativa) di non produrre o lavorare. Il secondo pilastro è l'istruzione o meglio il decadimento progressivo che dagli anni Sessanta a oggi vive la scuola e l'accademia italiana. E il terzo (più recente perché presente dalla metà degli anni Ottanta) è un'«infrastruttura paraschiavistica» della società alimentata dall'arrivo degli immigrati.
Questo, spiega Ricolfi, porta la nostra società capitalistica a distaccarsi notevolmente dal modello tradizionale (modello «caldo» secondo la nota definizione di Claude Lévi- Strauss). Viviamo insomma in una società sì capitalistica ma «fredda» che mostra anche una connotazione quasi «medievale» con la ricchezza determinata più dalle rendite che dalla produzione. Ricolfi mette poi insieme la sensibilità di Berlusconi e quella della Fornero. «Ci sarà pure la crisi - sosteneva una decina di anni fa il Cavaliere - ma vedo i ristoranti sempre pieni». Frase citata nel libro di Ricolfi insieme con la definizione della Fornero che definiva i nostri giovani choosy e svogliati. Ed è proprio questo il punto. L'Italia ha il record poco invidiabile (come mostra il grafico) dei Neet, cioè giovani che non studiano e nemmeno cercano lavoro. Giovani che vivono nel peggiore, in famiglie dove le pensioni dei nonni permettono loro di vivere senza tante preoccupazioni.
Ricolfi, che conosce bene il sistema accademico (insegna all'Università di Torino) assegna una pesante responsabilità anche alla scuola che dagli anni Sessanta a oggi ha abbassato progressivamente l'asticella, producendo un esercito di laureati ignoranti e frustrati. Il confronto con le altre società è impietoso. Questo però non vuol dire che stiamo messi male. Tutt'altro. La nostra è una società opulenta che in Cinquant'anni ha visto quadruplicare il tenore di vita delle famiglie italiane.
L'unico serio problema è appunto che questa società è «fredda» e a somma zero (l'emancipazione sociale di uno porta all'impoverimento dell'altro).
Il livello paraschiavistico dei lavori più umili e faticosi, che permettono, alla maggioranza di condurre una vita comoda non potrà sostenere a lungo la nostra economia. Ricolfi è sicuro. Ci vuole un radicale cambiamento. Senza dare ricette avverte: una volta che si sono esaurite le pensioni e le rendite: come faranno i Neet a sopravvivere?
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