Sette italiani su dieci non credono più nell'Ue

Crolla la fiducia nelle istituzioni europee, colpa della crisi economica e dell'austerity. Nel '94 era al 70%

Sette italiani su dieci non credono più nell'Ue

Nelle ultime settimane, Renzi ha alzato decisamente l'accento della discussione riguardo al ruolo dell'Italia nella Ue. Utilizzando talvolta espressioni relativamente aspre e polemiche e suscitando di conseguenza reazioni in certi casi sconcertate e irritate da parte di alcuni esponenti al vertice dell'Unione. Alcuni commentatori hanno approvato questo comportamento del presidente del Consiglio, sostenendo che è giusto che l'Italia difenda in modo più deciso i propri interesse all'interno della Ue. Altri, forse in misura maggiore, hanno invece criticato l'atteggiamento di Renzi, sottolineando che è necessaria una adesione di fondo alle regole che l'Unione si è data e, specialmente, che, alla fine, un approccio più diplomatico è più efficace nel difendere i nostri interessi in Europa.

È probabile però che, nel definire il proprio comportamento e nel valutare il proprio tono, Renzi abbia tenuto in grande forse prevalente considerazione il mercato elettorale interno, cercando di intercettare a suo favore il crescente sentimento antieuropeo riscontrabile tra i cittadini del nostro Paese.

L'Unione europea può essere infatti definita per gli italiani un grande amore del passato, oggi quasi completamente esaurito. I nostri concittadini sono stati sino a qualche lustro fa tra i più convinti fautori del progetto di costruzione dell'unità europea. Non a caso, l'Ue e prima la Comunità europea hanno rappresentato per molto tempo una delle istituzioni su cui si è espressa maggiore fiducia da parte dei cittadini: nelle graduatorie di consenso, l'Ue svettava sempre ai primi posti.

Oggi, come si è detto, siamo diventati molto critici nei confronti delle istituzioni europee. Specie in concomitanza con l'inizio della crisi economica, il nostro rapporto con la Ue si è progressivamente deteriorato e sempre meno cittadini hanno espresso fiducia in questa istituzione. Si è scesi da un consenso del 70% nel 1994 al 64% rilevato nel 2005, 60% nel 2008, 57% nel 2010 e 51% nel 2011. Il dato è poi calato ancora, sino a giungere attorno al 39-40% nel 2012-13 e a crollare poi al 27% registrato oggi. Insomma, in relativamente poco tempo, si è verificato un abbassamento drastico dei giudizi positivi espressi.

I motivi di questo trend sono molteplici, ma possono essere ricapitolati sinteticamente. All'inizio, quando l'Ue fu costituita, essa era vista dagli italiani come il concretizzarsi di un ideale e, al tempo stesso, una fonte di benefici anche sul piano economico-finanziario. Poi, con il passare del tempo, Bruxelles, oltre a fornirci fondi e incentivi, specie al Sud, ha cominciato a chiedere al nostro Paese degli adempimenti e delle politiche di rigore. Ciò non è stato granché apprezzato, sia perché alcuni vantaggi si sono trasformati in costi, sia, specialmente, perché molti dissentono dal tipo di rigore che l'Europa ha voluto imporre. Su questo punto, si sa, la discussione è molto ampia e i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno assunto posizioni assai differenti tra di loro.

Alcuni hanno semplicemente ignorato quanto ci veniva chiesto dall'Europa. Altri (l'esecutivo Monti, in primo luogo) hanno assunto una linea di rigorosa adesione a quanto la Ue ci richiedeva. Altri ancora, come l'attuale governo Renzi, sembra voler sollecitare una svolta alle autorità europee, invitandole ad una policy differente e meno «rigorista».

Al tempo stesso, il dibattito si è allargato nel Paese, con una netta spaccatura di atteggiamenti rispetto all'Europa, la quale è diventata un argomento di discussione e di confronto anziché un'istituzione comunque apprezzata da tutti, come era agli inizi. E la fragilità mostrata dall'Ue in certe sue decisioni o, talvolta, non decisioni ha accentuato le perplessità nel nostro Paese.

Come conseguenza di tutto ciò, lo si è visto, il consenso verso l'Europa ha subito negli anni un vero e proprio tracollo. Oggi, risultano più favorevoli alla Ue specialmente le persone con un titolo di studio più elevato, forse perché hanno a disposizione maggiori strumenti di informazione. Ma anche tra costoro, la netta maggioranza esprime una valutazione negativa dell'Unione europea. Gli imprenditori, i professionisti e i lavoratori autonomi esprimono un maggior consenso, anche qui però minoritario (37%). Gli operai, le casalinghe e i pensionati vale a dire ceti meno centrali socialmente manifestano valutazioni nettamente inferiori. Sono perplessi in misura decisamente maggiore i più anziani. Le valutazioni più negative si trovano, come era prevedibile, tra i votanti per la Lega e per il M5S, ma anche nel Pd l'atteggiamento critico è assai diffuso e coinvolge la metà dell'elettorato di questo partito. Questo crescente orientamento critico verso la Ue, così diffuso, spiega perché, in fondo, i «toni duri» di Renzi siano stati relativamente ben accolti dai nostri concittadini. Tanto che il 65% ritiene giusto l'atteggiamento del presidente del Consiglio.

Insomma, con il suo tono più polemico nei confronti delle istituzioni europee il capo del governo ha cercato evidentemente anche di accrescere i consensi e la fiducia degli italiani verso di lui e verso l'esecutivo che presiede. Con una considerazione particolarmente rivolta ai voti leghisti e pentastellati (e anche a quelli degli attuali elettori di Forza Italia, che pure mostrano di avere in qualche misura gradito il cambiamento di tono di Renzi), ma anche attenta all'interno del suo partito, il Pd, ove, come si è visto, la sfiducia per la Ue è diffusissima.

Sin qui tuttavia, la scelta del presidente del Consiglio, pur apprezzata, non ha elevato in misura significativa né il livello di popolarità oggi goduto da Renzi, che è inferiore al 30%, né quello per il governo nel suo complesso che è attorno al 28%.

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