L'Ue è sotto scacco della Grecia. Però costrinse l'Italia a pagare

Nel 2011 i nostri conti erano in ordine, ma il governo Berlusconi cadde ugualmente per via dello spread. Adesso è Atene sull'orlo del baratro: la resistenza a oltranza sta dando frutti

L'Ue è sotto scacco della Grecia. Però costrinse l'Italia a pagare

«Se il Delaware mandasse in rovina l'economia degli Stati Uniti, sarebbe colpa degli Stati Uniti, non del Delaware». Come dare torto a Yanis Varoufakis? Troppo presto il ministro dell'Economia greco è stato dato per spacciato nei consessi internazionali, invece sta vincendo. Nelle trattative in corso sulla crisi greca, infatti, nella realtà sta vincendo Atene. Il governo greco sta facendo il suo mestiere, forte della legittimazione ottenuta con le elezioni del 25 gennaio 2015.

Di fronte alle richieste dei cosiddetti «creditori» (ex Troika: Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale), il governo greco sta tenendo duro, sta tenendo la posizione sulla quale ha ottenuto un consenso popolare del 36%, che non può essere tradito.

E tenendo duro, il governo greco sta facendo emergere tutte le contraddizioni interne alla grande costruzione europea. Più la Grecia tiene duro, più i problemi in casa altrui, Germania e Francia incluse, vengono a galla. L'esatto contrario di quanto fatto dall'Italia nel 2011, quando di fronte all'attacco speculativo della finanza internazionale ci siamo subito flagellati e fustigati. Senza opporre nessuna resistenza.

In quell'estate-autunno del 2011, i conti pubblici italiani erano in ordine, con tanto di approvazione e plauso da parte della Commissione e del Consiglio europeo. Eppure si scatenò contro di noi la bufera. Con lo spauracchio dello spread, fu fatto fuori l'ultimo governo democraticamente eletto.

Piuttosto che rispondere con durezza alla speculazione, forti del consenso del popolo che nelle elezioni del 2008 era stato del 46%, ci siamo subito arresi ad essa. Complici le pressioni, oltre i limiti del suo mandato, dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; l'opportunismo politico del Pd, che all'interesse del Paese ha preferito gli interessi del proprio partito; ma anche l'opportunismo di quegli esponenti della maggioranza di governo che volevano prendere il posto dell'allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

In questo gioco al massacro, tanto caro alla sinistra, chi ha perso è stata l'Italia, che da quel momento, e dopo i governi Monti, Letta e Renzi, non esiste più sul piano internazionale.

Come avveniva nel '500, quando per dirimere guerre municipali si invocava il re di Francia, che poi veniva e non se ne andava più, facendo fuori tutti, suoi sostenitori e non; anche nel 2011 il masochismo, la miopia e l'egoismo italiani hanno prodotto oscena subalternità.

Lo dimostrano gli incontri e le telefonate dell'ultima settimana sul caso Grecia, cui hanno partecipato la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, François Hollande. Il presidente del Consiglio italiano è stato tagliato fuori da tutti i negoziati. E non è la prima volta. Il nostro paese è chiamato ai tavoli solo quando c'è da pagare. Mai quando si decide.

Amarezza e rammarico, quindi, per la pochezza italiana. Simpatia per il duo Tsipras-Varoufakis, per l'abilità politica con cui stanno conducendo le trattative in Europa.

Per salvare la Grecia oggi bastano 7,2 miliardi. Come ne bastavano circa 50 nel 2010, e avremmo evitato la grande crisi finanziaria che da quel dì ha colpito l'intera Europa; che ancora oggi rischia di distruggere la moneta unica, e con essa il sogno europeo dei padri fondatori e di 500 milioni di cittadini europei. E che ha già distrutto le economie dei paesi dell'eurozona. Germania esclusa, e vedremo perché.

Al di là del programma di Syriza e di Tsipras, per niente condivisibile, perché l'Europa non mostra per la prima volta dalla sua costituzione lungimiranza e senso di solidarietà? Perché continuare con estenuanti trattative e negoziati che non portano a nulla? Perché non imparare dagli errori del 2010 e chiudere subito il «caso Grecia»?

Attingendo alla teoria dei giochi, di cui il ministro Varoufakis è buon conoscitore, per spiegare la situazione greca viene spesso utilizzato il game of chicken , vale a dire quello in cui due macchine corrono una verso l'altra in una strada stretta, con nessuno dei due conducenti intenzionato a svoltare senza comunicare fra loro prima mentre nel caso reale il governo greco è in continuo contatto con la ex Troika. Inoltre, mentre per la crisi greca non si conoscono gli effetti dello scenario peggiore (l'uscita della Grecia dall'euro), nel game of chicken l'esito peggiore è noto: la morte dei conducenti di entrambe le auto.

Sia la Grecia che i «creditori» non vogliono che Atene esca dall'euro, ma entrambe le parti sanno che l'altra è disponibile a fare concessioni fino alla fine, perché è nei loro rispettivi interessi. Nessuno, al momento, però, cede, perché aspetta che lo faccia la controparte. Quindi siamo al palo. Fino a quando? «Ci vogliono portare allo stremo, per vedere se molliamo», è convinto Varoufakis. Ma lui non molla. Non per ora.

Paradossalmente, il tempo adesso gioca a favore della Grecia. Avendo testato la solita indecisione e impotenza europee, è la Grecia che si può permettere di «dare le carte». Il che la dice lunga sugli errori che sono stati commessi da 5 anni a questa parte, e, ripetiamo, ci fa pensare amaramente a quello che avrebbe potuto fare l'Italia in quella maledetta estate-autunno del 2011, con una forza contrattuale che era cento volte quella di Atene oggi, e che non ha fatto.

Innanzitutto perché l'Italia è molto più grande della Grecia, in termini di estensione, di popolazione e di reddito prodotto (altro che Delaware!). Ma anche perché, in fondo, la Grecia qualche responsabilità per la condizione critica in cui versa oggi ce l'ha, anche se non tutte quelle che le vengono attribuite. Mentre quanto è accaduto in Italia nel 2011 era totalmente indipendente dal governo di allora.

Non era nostra responsabilità, ed è stato dimostrato urbi et orbi , la tempesta sui mercati finanziari. L'Italia non era sull'orlo del baratro. I soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e le pensioni c'erano. Quello che è mancato in quei mesi è stata la politica. La buona politica e il senso e la responsabilità delle istituzioni. Per questa dabbenaggine cosmica, a crollare è stato l'intero sistema Paese.

L'insieme dell'arroganza e dell'essere di parte di Napolitano; della cultura del «tanto peggio tanto meglio» e del mors tua vita mea della sinistra, che ha cavalcato la speculazione; e dei giochi di potere dentro la maggioranza di governo, e in particolare dell'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che la speculazione l'ha subita passivamente, o perché non l'ha capita, o per suoi obiettivi di potere; l'insieme di tutto questo, dicevamo, ha portato alla capitolazione economica, finanziaria e democratica italiana.

Dal 2011 nel nostro paese non c'è più stata democrazia. Abbiamo commesso l'errore madornale di chinare la testa. E le conseguenze in termini di subalternità e di irrilevanza internazionale le stiamo pagando ancora.

La comunità internazionale sta sbagliando con la Grecia oggi, come ha sbagliato con l'Italia nel 2011. Ma mentre noi abbiamo mollato subito; la Grecia sta dando lezioni a tutti. All'Europa, alla Bce, al Fondo monetario internazionale, e a noi stessi.

In questo momento, tra comunità internazionale e Grecia è più vulnerabile la prima, vittima dei suoi stessi errori e della sua cattiva coscienza, della seconda, che non ha nulla da perdere e che, di fatto, sta riformando la governance europea. Forza Delaware!

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