Roma - Fumata nera. «Parliamo di temi, non di nomi», dice al termine Matteo Salvini. Frase chiave per capire che tutto è ancora bloccato là, sul nome da cui dipendono tutti gli altri: il premier. Oggi si continuerà a trattare, ma non è al tavolone degli sherpa che scrivono il pistolotto programmatico che si discuterà di premier, e ieri Di Maio e Salvini si sono appartati da soli per un quarto d'ora appena: troppo poco per discutere del tema vero.
Alla vigilia del vertice del Pirellone, Luigi Di Maio - arrivato in ritardo dopo un misterioso incontro, c'è chi dice per prendere indicazioni da Grillo e Casaleggio - veniva descritto come pronto a cedere su tutto: posti, quote, programmi. A patto che il dioscuro padano Salvini gli regali il sogno di vestirsi a festa e istallarsi a Palazzo Chigi. Neppure la figura barbina inflittagli da Giorgia Meloni, che ha raccontato come il capo-partito grillino abbia provato a barattare poltrone con il sostegno alla sua premiership, lo ha spinto a desistere. Del resto, anche la Casaleggio è dello stesso parere: a Palazzo Chigi non vuole un tecnico, che chissà a chi risponde, ma qualcuno che alzi prontamente il telefono quando si chiama. E nel Movimento Cinque Stelle fanno trapelare di contare su una sponda al Colle, dove «non vogliono Salvini premier nemmeno dipinto», e dunque potrebbero vedere il giovane aspirante di Pomigliano come il male minore. Per il premier il nome grillino c'è. È sulla lista dei ministri che iniziano i guai: le caselle da riempire, tra ministri e sottosegretari, sono molte, e moltissimi nel partito sono quelli che si stanno freneticamente autocandidando a riempirle. Il problema, però, è che gli esponenti M5s sufficientemente alfabetizzati per poter gestire dossier di governo si contano sulle dita di una mano, o forse neanche quella. Non è questione di lauree (tra i «ministri» della finta lista pre-elettorale ce ne erano diversi muniti di diploma, sia pur della Link Campus di Vincenzo Scotti), ma di capacità amministrative e politiche. Alla Casaleggio si setacciano i gruppi parlamentari, alla ricerca disperata di personaggi vagamente spendibili: «Serve gente che obbedisce», ha spiegato Vincenzo Spadafora, scuola Rutelli-Montezemolo e ora molto legato a Di Maio (quindi in pole per un incarico). Ma i nomi son sempre quei pochi: Crimi, Toninelli, Lezzi, Bonafede.
Diverso il discorso per la Lega, che un classe dirigente ce l'ha, forgiata nelle amministrazioni locali del Nord produttivo (il M5s al massimo ha Virginia Raggi, che messa in un ministero lo farebbe probabilmente sparire per autocombustione come i bus di Roma) e ha responsabili di settore che maneggiano i dossier.
«Ogni nostro eletto sarebbe un ottimo ministro», dicono fieri. Di certo non mancheranno in squadra Molteni e i Giorgetti e i Siri. Ma Mattarella ha messo in chiaro di volere, stasera o quando sarà, un nome innanzitutto: quello del premier.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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