L'ultima follia della sinistra Le Pen spaventa più del Califfo

Stampa e salotti considerano Marine la causa dei mali quando invece è l'effetto. Ma il popolo sa chi è il nemico

L'ultima follia della sinistra Le Pen spaventa più del Califfo

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito, recita un antico detto e l'idea che per battere in Francia il terrorismo jihadista basti far perdere Marine Le Pen alle presidenziali, fa parte della filosofia della stoltezza di un Paese a cui la filosofia dei Lumi deve aver dato alla testa. A giudicare da molti commenti giornalistici anche nostrani, non è però una pura idea d'oltralpe, e anche questo è un segno dei tempi: la politica, e i suoi commentatori, vanno da una parte, il Paese, e il suo elettorato, sempre più da un'altra. I primi sperano che i secondi si rassegnino e lavorano per rendere comunque impossibile un fronte unico che li compatti; i secondi si illudono che le élites si suicidino o muoiano per incapacità e/o consunzione. Così la decadenza continua, indietro non si riesce a tornare, avanti non si sa dove andare.

En attendant, c'è il capro espiatorio, per tornare da dove siamo partiti, ovvero il diavolo «bleu-Marine» che serve a far gridare alla vittoria in caso di sconfitta, la sua, senza accorgersi che in realtà siamo già sconfitti perché non sappiamo nemmeno più combattere. Non abbiamo capito chi è il nemico, o meglio, retoricamente abbiamo stabilito che è quello «contro l'umanità», idea generosa e ambiziosa quanto ipocrita e confusa: se si dà uno sguardo al mappamondo geopolitico, si vedrà che l'umanità fa fatica a farsi riconoscere.

L'occhio dello stolto ha la vista corta, tipica non solo di chi non ha immaginazione, ma anche di chi confida nello status quo. Non si è accorto, per esempio e per restare in Francia, che nel 1980 soltanto il 30 per cento del suo elettorato considerava superati i concetti di destra e di sinistra. Cinque anni fa la percentuale era salita al 58 per cento. Quest'anno è arrivata al 73. Non si tratta tanto o solo di un populismo che a un asse orizzontale ne sostituisce uno verticale, chi sta in alto contro chi sta in basso. Si tratta di qualcosa che ha a che fare con la globalizzazione, il divario fra chi ne trae profitto e chi ne è vittima. In Francia significa una linea divisoria tra chi pensa in termini di popoli e chi in termini di umanità formata da individui, e la si può egualmente coniugare in una differenza tra Francia urbanizzata e Francia periferica, classi medie in via di declassamento e grande borghesia globalista, sostenitori delle frontiere e partigiani dell'«apertura». Più in generale, è figlia di una sfiducia nei confronti delle élites (politiche, economiche, massmediali) che ha portato con sé il declino e/o la scomparsa dei cosiddetti partiti di governo, fenomeno che fino a ieri ha riguardato Italia e Spagna, Grecia e Austria, per citare solo ciò che nel Vecchio continente ci è più vicino, e che oggi riguarda proprio lei. Se, come sembra possibile, al primo turno delle presidenziali i due candidati più votati saranno Emmanuel Macron e Marine Le Pen, ciò significherà l'uscita di scena dei socialisti e dei repubblicani, ovvero delle due forze politiche che negli ultimi quarant'anni hanno, in alternanza fra loro, guidato il Paese. È una svolta storica ed è uno dei motivi per cui Marine Le Pen, se andranno così le cose, ha già vinto, ha contribuito a chiudere un ciclo, ha l'età, l'energia e l'ambizione per partecipare da protagonista a quello successivo. Tutto questo rende ancora più evidente, e sconcertante, la miopia da cui siamo partiti. Si considera la Le Pen la causa dei mali, quando invece è l'effetto dei mali avvenuti. Si derubrica il suo seguito elettorale a una via di mezzo fra farabutti e gente incolta, che altro non è che il disprezzo classista di chi, essendo classe dominante, tratta da «strati» populisti quella che è la classe popolare. Si arriva così al paradosso di un'espertocrazia che considera i problemi politici come puramente tecnici, la governance di chi vuole governare il popolo, ma facendone a meno. E si pretende che su temi cruciali, immigrazione, globalizzazione, Comunità europea, proprio quel popolo che vede sconvolta la propria vita quotidiana, non abbia però il diritto di decidere...

Come tutte le realtà endemiche e asimmetriche, il terrorismo di matrice islamista affonda le sue radici nel disordine di un mondo divenuto ormai irriconoscibile.

Un conto è conviverci cercando lentamente di ricostruire dei profili identitari comprensibili, un altro cullarsi in un mondialismo irenico dove «il male» sarà sconfitto dalla circolazione delle merci. Non ci sono vaccini sicuri per venirne a capo, ma credere all'infezione lepenista è una diagnosi medico-politica sbagliata. La peste è altrove.

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