Roma - Il padre fondatore non ha potuto contenersi, anche a rischio di affermare circostanze non vere. Ma Eugenio Scalfari è fatto così, quando inizia una battaglia la combatte fino all'estremo. Ora ha trovato un nuovo nemico in Matteo Renzi (colpevole di trattare col Cav sulle riforme) e così ogni domenica nel suo editoriale si lascia trasportare dalla foga.
Ieri nella sua articolessa, dopo aver constatato giustamente il sostanziale fallimento del bonus da 80 euro - che non è servito a rilanciare i consumi e nel 2015 costerà 10 miliardi - ha buttato giù una proposta-shock. «Forse l'Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale», ha scritto sostenendo che mentre «un tempo (e lo dimostrò soprattutto in Grecia) quella troika era orientata a un insopportabile restrizionismo, ora è esattamente il contrario: deve combattere la deflazione che ci minaccia».
Bastano due piccole annotazioni, una fattuale e una ipotetica, per ricordare sommessamente che «troika fa rima con recessione», quasi sempre. È vero: le principali agenzie di rating hanno alzato recentemente la valutazione complessiva del Paese, nel 2014 il Pil (dopo sei anni di recessione) dovrebbe crescere dello 0,6%, più di quello italiano. I prestiti del Fondo monetario le hanno consentito di ritornare con successo sul mercato del debito sovrano. Ma a quale prezzo? L'inflazione è al -1,5%, la disoccupazione al 27,8% (quella giovanile è oltre il 57%), i salari si sono ridotti del 35% nel pubblico e del 25% nel privato.
Si può dire, come Scalfari, che la troika «punta su una politica al tempo stesso di aumento del Pil, di riforme sulla produttività e la competitività, di sostegno alla liquidità». Decisamente no. È vero che la Grecia ha fatto le famose «riforme» e che è più attrattiva per i capitali esteri, ma molti asset pubblici sono stati venduti e la tassazione, specie sulla casa, è molto alta.
Adesso proviamo a immaginare cosa accadrebbe se l'auspicio di Scalfari si trasformasse in realtà. Non è difficile: nell'estate 2012 con la paura di una nuova crisi da spread e con un governo Monti sempre più bloccato, l'establishment nostrano guardava favorevolmente a questa opzione. Ma non si trattava di un parere disinteressato. Se, infatti, l'Italia accedesse al prestito congiunto del Fondo monetario e dell'Esm (il fondo europeo Salva-Stati), ripagare il debito - eventualmente ristrutturandolo parzialmente (per riportarlo a un livello sostenibile attorno al 120% del Pil dal 137% attuale) - sarebbe più facile. Ma la contropartita richiesta sarebbe la stessa della Grecia: senza accesso ai mercati, il prestito si ripaga con l'austerity, cioè tagli draconiani al settore della Pa, più tasse e svendita degli asset pubblici.
Con grande beneficio del settore bancario, che da un lato vedrebbe garantita l'enorme massa di Btp in portafoglio (400 miliardi) e dall'altro avrebbe opportunità di introito come advisor delle privatizzazioni. A tutto ciò si aggiunge la perdita della sovranità che, per Scalfari, è «vanagloria». L'importante è che Renzi e Berlusconi vadano a casa, poi può pure crollare il Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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