Roma. Bocciatura totale per il decreto legislativo Madia sulla riforma della dirigenza pubblica da parte del Consiglio di Stato. In particolare, i giudici di Palazzo Spada si sono concentrati sulla «durata ragionevole dell'incarico che, evitando incertezze sul regime del rapporto di lavoro, consenta al dirigente di perseguire, con continuità, gli obiettivi posti dall'organo di indirizzo politico, consolidando l'autonomia tecnica propria del dirigente stesso, ed evitando i pericoli di una autoreferenzialità che mal si concilia con la responsabilità dell'autorità politica di fissare obiettivi». Con un italiano un po' aulico i magistrati hanno voluto sottolineare che la riforma Madia è una sorta di spoil system mascherato perché fa diventare l'amministrazione pubblica, che è costituzionalmente indipendente ma deve essere indirizzata dal potere esecutivo, un braccio armato della politica. Tanto più che il Consiglio di Stato ha contestato anche «la modalità di cessazione degli incarichi soltanto a seguito della scadenza del termine di durata degli stessi, ovvero per il rigoroso accertamento della responsabilità dirigenziale». Insomma, i dirigenti non si possono cacciare a proprio piacimento, ma devono svolgere liberamente il proprio incarico.
«La riforma - aggiungono i giudici di Palazzo Spada - è priva, per previsione della legge delega, di nuovi sistemi di valutazione della dirigenza». Insomma, il governo può fare dei dirigenti quello che vuole senza badare a spese considerato che il Consiglio di Stato ha espresso perplessità sull'«assenza di una copertura finanziaria nella riforma della dirigenza pubblica». Non sarà, perciò, a costo zero come sostenuto dal governo.
«In un Paese serio ministro rassegnerebbe subito dimissioni», ha commentato il capogruppo alla Camera di
Forza Italia ed ex ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. La palla ora passa al Parlamento che dovrà esprimere un pare. Ma i dirigenti che già hanno indetto uno sciopero chiedono il ritiro del dlgs.GDeF
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