Giù il sipario: il buonismo entra ancora una volta in scena. E lo fa al civico 51 di quella Rambla diventata una lunga via di sangue e di orrore. Quel maledetto 17 agosto, il furgone piombato a tutta velocità sulla folla ha terminato la sua corsa assassina lì, davanti a El Liceu. E proprio in quello che è il teatro più antico e prestigioso di Barcellona, nonché uno dei palcoscenici più importanti al mondo, verrà rappresentato il paradosso dell'Occidente: nascondere le proprie radici cristiane per evitare di urtare la sensibilità della religione islamica. Così dal 13 al 20 settembre la rappresentazione dell'opera lirica «Il Viaggio a Reims» di Gioacchino Rossini subirà quella che i benpensanti definirebbero una «alterazione lessicale». Quale? La parola «croce» sostituita con «amore».
A squarciare il velo dell'ipocrisia ci ha pensato Irina Lungu, famosa soprano moldava, esternando tutta la propria frustrazione su Facebook. «È stata levata la frase la croce splenderà dalla mia aria per motivi di correttezza religiosa, a questo punto al mio prossimo debutto nei Pescatori mi aspetto al posto di O Dieu Brahma di cantare qualcosa del tipo pace e gioia sia con voi. O Brahma non infastidisce nessuno per il momento?».
Un post che ha scatenato subito la polemica tra i suoi fan, divisi tra lo stupore, la rabbia e l'incredulità. Insomma, quando Irina vestirà i panni del personaggio Corinna dovrà recitare il seguente assolo modificato: «Come sul Tebbro e a Solima, foriera di vittoria, simbolo di pace e gloria l'amore splenderà». La croce sepolta dal multiculturalismo estremo.
«Io non devo difendere il mio credo religioso salendo sul palco, non è certo compito di un cantante, non sono d'accordo con questa imposizione ridicola», ha dichiarato al Giornale Irina. Che poi rispondendo a chi le chiedeva di astenersi dal recitare ha ammesso: «Devo fare come mi dicono».
Nascondere una parola, un simbolo cristiano, per evitare di svegliare il cane che dorme. Il teatro dell'orrore che diventa il teatro dell'eclissi. E il fatto che possa avvenire in un luogo in cui decine di turisti hanno provato a trovare un rifugio per scampare alla furia del van che procedeva a zig zag cercando di uccidere più persone possibili è un'aggravante che lascia basiti. «Opportunità religiosa»: questa sarebbe la motivazione della direzione del teatro catalano.
Secondo il sito spagnolo plateamagazine invece la scelta del teatro Liceu è stata dettata dai recenti attentati anche se non si sa se a prenderla sia stata la direzione, il direttore musicale o lo sceneggiatore dal momento che il Liceu ha preferito non commentare. Irina, dal canto suo, poche ore dopo ha cancellato tutti i post d'accusa perché non si aspettava che avrebbero scatenato tutto questo putiferio.
È il paradosso della città dell'accoglienza, dove si finisce per aver quasi paura di esprimere le proprie idee «controcorrente». Quella stessa Barcellona che, come ha dichiarato la sindaca della città catalana Ada Colau dopo la strage del camion targato Isis, «ama la diversità e vuole essere una città di pace».
La risposta però, più che la croce cristiana, foriera di vittoria, simbolo di pace e gloria, sembra essere la logica dell'accoglienza indiscriminata, dell'estremizzazione del multiculturalismo, delle porte aperte a tutti (e chiuse ai turisti europei), del politicamente corretto.
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