L'ultimo scippo di Matteo: il Berlinguer usa e getta

Riesumato, in un pomeriggio di maggio. Come una maschera da indossare sul volto sorridente del renzismo

L'ultimo scippo di Matteo: il Berlinguer usa e getta

Riesumato, in un pomeriggio di maggio. Come una maschera da indossare sul volto sorridente del renzismo, come una patente di sobrietà, come un modo per strappare a rottamati e rottamandi il nume tutelare, la tomba di famiglia. Matteo Renzi a Bergamo, città di Arlecchino, si comporta come il capocomico della commedia dell'arte e porta sul palcoscenico i defunti, li rievoca, senza neppure prendersi la briga di sapere se fosse il caso di disturbarli. Renzi chiama Enrico Berlinguer. Lo porta come testimone (o testimonial), come garante delle riforme istituzionali. Così il rampollo democristiano battezza il «partito del Sì» con la faccia del leader Pci santificato. Quasi blasfemia. Matteo abolisce il Senato perché Enrico lo voleva. «La sinistra è stata sempre per superare il bicameralismo. Enrico Berlinguer parlava direttamente di monocameralismo». Non mente Renzi.

In un'intervista pubblicata su L'Unità il 27 maggio del 1984 Berlinguer si schiera per la governabilità. Meno parlamentari e una sola Camera. Ma Berlinguer immagina anche un'Italia di regione autonome, come contrappeso al potere centrale. Ma come sempre per Renzi il passato è usa e getta.

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