Rien ne va plus, i giochi sono fatti: alla fine la pallina si è fermata sul 4 dicembre. E tra 67 giorni gli italiani dovranno decidere non solo le sorti della riforma costituzionale che abolisce il bicameralismo perfetto, ma anche quelle del governo e della legislatura. «La partita è adesso e non tornerà - scrive il premier Matteo Renzi nella sua e-news, subito dopo la decisione della data - Non ci sarà un'altra occasione. Sono certo che non la sprecheremo».
Ad annunciare che il governo ha deciso di convocare per quel giorno i cittadini il referendum costituzionale è stato ieri sera - al termine di un rapido Consiglio dei ministri - il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti: «Abbiamo deciso con dieci giorni di anticipo rispetto al termine di legge», spiega rintuzzando le critiche di chi accusava Renzi di averla tirata troppo per le lunghe nella scelta della fatidica data. Non c'è nessuna «ragione particolare» per cui è stata preferita quella del 4 dicembre ad altre, pure possibili: «Di qui ad allora c'è il tempo per un confronto approfondito su una scelta che coinvolge il funzionamento delle istituzioni».
In verità, che il referendum sarebbe stato convocato tra fine novembre e inizio dicembre era noto già da mesi. Prima della pausa estiva, era stato lo stesso presidente della Repubblica Mattarella a usare la sua moral suasion per far sì che il referendum, che può aprire - in caso di vittoria del No - una crisi politica traumatica e di complessa gestione, fosse collocato dopo aver messo in sicurezza in almeno un ramo del Parlamento la legge di Stabilità. E così sarà. Di certo, però, la dilazione - inizialmente il governo aveva immaginato di fissare la consultazione per ottobre - serve anche a Matteo Renzi. Non certo, come accusano ad esempio da Sinistra Italiana, per «ridurre l'affluenza alle urne». Anzi: l'obiettivo di Palazzo Chigi è esattamente l'opposto, spiegano gli addetti ai lavori. Il tempo in più serve per far conoscere meglio la riforma e i suoi contenuti e portare al voto gli indecisi: secondo le analisi in casa renziana, se l'affluenza si fermasse attorno al 50% vorrebbe dire che vanno alle urne solo i più politicizzati e quelli convinti dalla propaganda anti-renziana, mentre «sopra il 60%» il margine di possibile vittoria per i Sì sarebbe più elevato. La data del 4 dicembre, poi, avrà anche un valore evocativo di portata europea: quello stesso giorno, infatti, in Austria si voterà nuovamente per l'elezione del presidente, in una nuova edizione dello scontro vinto (ma poi annullato per ragioni procedurali) dal verde Van der Bellen contro il candidato della destra ultranazionalista Hofer. Una sorta di partita simbolica tra l'Europa del «progresso e dell'apertura» e quella «della chiusura e del ripiegamento su sé stessi» che, secondo i renziani, ha molte analogie con quella italiana. E che, come quella italiana, segnerà il futuro dell'intero continente, «come dimostrano - fanno notare nel Pd - i molteplici auspici per una vittoria del Sì che arrivano dalla Ue e anche dall'altra sponda dell'Atlantico». Il premier si prepara ad una campagna elettorale serratissima, che partirà già il 29 settembre da Firenze.
«Vogliamo avere un Paese più stabile e più semplice - è il suo messaggio - o vogliamo tornare alle bicamerali D'Alema-Berlusconi, o consegnarci a una strana forma di democrazia diretta in cui una srl di Milano controlla la democrazia interna di uno dei più grandi partiti del Paese?». La partita, conclude con un appello Renzi, «è tutta qui. Qui e ora. Chi vuole cambiare ci dia una mano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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