Il post sulla pagina Facebook è colpa grave. Ma l'adesione ai comitati per il No e le dichiarazioni ai dibattiti non sono un problema. Ha dell'incredibile la storia del presidente del tribunale di Bologna Francesco Maria Caruso, che per un post sul social network (ora cancellato) in cui si schiera per il No rischia il procedimento disciplinare e il trasferimento d'ufficio visto che il Csm, con inusitata solerzia, ha deciso di aprire subito una pratica contro di lui. E ha dell'incredibile perché in questa campagna referendaria altre autorevoli toghe, come il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo e il procuratore capo di Torino Armando Spataro, hanno preso posizione per il No. Eppure, per loro, nemmeno una parola. Per Caruso, invece, il putiferio.
Due pesi e due misure. Sì, il post su Facebook del presidente del tribunale di Bologna non era tenero. Dal paragone tra fautori del Sì e Repubblichini, ai riferimenti a corruzione e voto di scambio («Chi vorrà spiegare la riforma ai ragazzi dovrà dire che questa riforma è fondata sui valori del clientelismo scientifico e organizzato, del voto di scambio, della corruzione e del trasformismo, con un governo che lega le provvidenze a questo o quello al voto referendario»), il giudice non le ha certo mandate a dire. Ma solo lui è diventato un caso politico. «Un delirio», il commento più benevolo. Solo i grillini e il leader della Lega Matteo Salvini lo hanno difeso. Per il resto, la gogna. E a stretto giro, nonostante la precisazione del magistrato che ha sottolineato che di post privato si trattava, si è messa in moto la macchina punitiva: il Csm ha segnalato il caso al procuratore generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare, e ha allertato la Prima commissione, che si occupa dei trasferimenti d'ufficio. Contro Caruso gli strali del Guardasigilli Andrea Orlando: «Le posizioni propagandistiche rischiano di ripercuotersi sulla funzione che un giudice è chiamato a svolgere».
Propaganda vietata ai giudici, dunque. O solo al giudice Caruso. Era di maggio, maggio 2016. Il procuratore capo di Torino Armando Spataro scrive a Repubblica spiegando perché ha deciso di aderire al Comitato del No. E tanto attiva è la sua adesione alla causa che ha poi partecipato a una miriade di incontri contro la riforma, da Nord a Sud. Stessa cosa il pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo: «Ho giurato fedeltà alla Costituzione - ha detto qualche settimana fa a Palermo - non obbedienza al governo o a persone che hanno rivestito indegnamente incarichi istituzionali. L'unico vero, rivoluzionario cambiamento è quello di applicare la Costituzione.
Duro il giudizio sul governo, che secondo lui «non ha la legittimazione morale per modificare la Costituzione». Chiaramente schierato, Di Matteo. Come il procuratore Spataro. E come il giudice Caruso. Che però è l'unico che ora rischia di pagare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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