Milano - A cosa mai potranno servire dei passamontagna a tre tedeschi calati a Milano tre giorni prima della May Day Parade, il corteo anti expo che ha messo il capoluogo lombardo a ferro e fuoco? La risposta potrebbe essere ovvia, guardando le centinaia di foto e film che hanno documentato lo scempio degli incappucciati. Ma per il giudice che alla vigilia del finimondo se li è trovati davanti, i tre ragazzotti venuti dalla Germania i passamontagna intendevano usarli semplicemente per fare qualche scritta qua e là senza respirare troppa vernice: dovevano essere «usati - scrive il giudice - come rudimentali maschere a protezione del respiro dai vapori tossici della vernice spray, con la quale i cosiddetti writer hanno a che fare per ore intere». Insomma, pacifici artisti del graffito, non black bloc. Anche se con precedenti penali, anche se incapaci persino di ricordare dove fossero stati la sera prima («Siamo venuti per vedere una partita di calcio a Bologna, non ricordo quale fosse l'altra squadra e non ricordo il risultato»), i tre vengono rilasciati con tante scuse.
Poche ore dopo a Milano scoppia il finimondo. Andrebbe letta per intero, la sentenza con cui la mattina del Primo Maggio, poche ore prima che a Milano scoppiasse il finimondo, il giudice Guido Vannicelli ordina il rilascio dei tre tedeschi: perché riassume perfettamente la distanza che nelle ore cruciali della vigilia ha separato l'apparato di polizia da una magistratura che non ha rinunciato a spaccare il capello in quattro, forse non rendendosi conto della gravità di quanto si preparava, o forse ritenendo che l'emergenza non giustificasse forzature. Se la Procura della Repubblica ha lavorato quasi fianco a fianco con polizia e carabinieri, dal tribunale le uniche bacchettate sono arrivate verso le forze dell'ordine. Nel provvedimento con cui rifiuta l'espulsione dei tre ultrà tedeschi, il giudice arriva a definire «grottesco» uno degli elementi indicati dalla polizia a carico di uno dei fermati, un tatuaggio spartachista («Kate Duncker»), mentre elogia apertamente uno dei giovanotti per la sua militanza antifascista «di per sè commendevole», e conclude «non vi è alcuna ragione di urgenza per allontanare dall'Italia il cittadino tedesco M.J.B. per la semplice ragione che egli non costituisce una minaccia grave e attuale per la sicurezza pubblica italiana».
Che il tribunale milanese non intendesse venire meno alla sua tradizione «garantista» lo si era capito già martedì 28, quando un primo gruppo di antagonisti tedeschi era stato fermato in una casa occupata del Giambellino, dove erano saltate fuori anche mazze e passamontagna. Il giudice Olindo Canali, presidente della sezione immigrazione del tribunale, aveva rifiutato di convalidare l'espulsione e liberato i quattro autonomen , ritenendo del tutto generiche le accuse a loro carico: e con qualche motivo, perché il verbale di espulsione era poco più che un ciclostilato. Sta di fatto che i tre vengono nuovamente fermati l'indomani, attrezzi alla mano, e stavolta Canali li espelle. Ma nel frattempo il segnale alla polizia è stato mandato esplicitamente: non contate su di noi per arrestare o espellere a casaccio. L'elenco delle espulsioni che vengono rifiutate - lo riportiamo nell'articolo qua sotto - è impressionante.
Per espellere un cittadino europeo ci vogliono prove, non sospetti, dicono i provvedimenti del tribunale: anche se viaggia con spray urticanti e passamontagna, e anche se tutti sapevano cosa stava per succedere a Milano. Tutti, tranne i giudici.
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