Quindi mettiamoci d'accordo una volta per tutte. Gomorra il libro di Roberto Saviano uscito nel 2006, sarebbe stato un bene per la lotta alla criminalità organizzata perché, come disse qualche tempo fa il magistrato Federico Cafiero de Raho, che una ventina di anni fa avviò l'inchiesta Spartacus da cui prende le mosse la saga savianesca, «dopo non è stato più possibile fare finta di niente». Gomorra la serie televisiva di Sky, di cui è in onda in queste settimane la terza stagione, secondo lo stesso Cafiero e altri suoi colleghi sarebbe invece un male per la stessa lotta alla camorra, perché creerebbe un effetto emulazione originato da una sorta di epicizzazione dei personaggi, da Ciro Di Marzio a Genny Savastano.
Se il dito indica l'assassino è colpa del dito, insomma. Ieri sulla questione è arrivato il fondamentale contributo di Giuseppe Borrelli, uno dei coordinatori della Dda di Napoli, che rispondendo a Bologna alle domande degli studenti nel corso di un incontro all'università, ha definito quella data da Gomorra una «rappresentazione del crimine organizzato folcloristica», che malgrado il successo all'estero e l'indubbio valore artistico del prodotto televisivo dà un'immagine falsa e datata della criminalità organizzata. Gomorra, si chiede Borrelli, «è sufficiente a spiegare il fenomeno o è una rappresentazione tranquillizzante che limita la nostra percezione del fenomeno mafioso?». La risposta è che la serie televisiva diretta tra gli altri da Sergio Sollima rappresenta «azioni di una camorra passata che in realtà si evolve e che non vuole essere vista e nemmeno raccontata». «La camorra - aggiunge il capo dell'antimafia napoletana - dovrebbe essere rappresentata per quello che è. Non è più solo omicidi, estorsioni e traffici illeciti, ma si rivolge a nuovi attori sociali. Ha fatto un salto profondo rispetto a dieci anni fa, non c'è più un rapporto di contiguità con la parte politica dell'amministrazione, oggi esprime propri rappresentanti in regioni, province e comuni. Fornire quel tipo di rappresentazione è pericoloso perché distoglie da questa nuova configurazione della camorra». Della stessa idea il procuratore capo di Milano già specialista in reati finanziari del pool di Mani Pulite Francesco Greco, anche lui al convegno bolognese, secondo cui «esiste una criminalità degli affari che sta impoverendo le nuove generazioni senza che loro se ne rendano conto».
Nei giorni scorsi e più volte nel corso degli ultimi anni anche Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, si era preoccupato dell'impatto che Gomorra possa avere sul suo pubblico, in particolare sui giovani che vivono nei territori infestati dalla camorra, dalla 'ndrangheta, dalla mafia. «Il senso dei film, dei docufilm e dei libri - ha detto Gratteri - è quello di educare. Se davanti alle scuole vediamo dei ragazzi che si muovono, si vestono e usano le stesse espressioni degli attori e dei personaggi di questi film che trasmettono violenza su violenza, mi pare che il messaggio non sia positivo». Un anno fa lo stesso magistrato era stato ancora più esplicito: «Certe serie fanno male ai giovani».
E il già citato Cafiero de Raho domenica scorsa a Lucia Annunziata aveva detto che «evidenziare i rapporti umani come se la camorra fosse un'associazione come tante altre non corrisponde a quello che realmente è, la camorra è fatta soprattutto di violenza». Un vero scoop, non c'è che dire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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