Di Maio e la "ceppa": il governo del popolo tutto insulti e parolacce

Il grillino replica a Salvini sugli inceneritori evocando l'organo maschile: è fuori contratto

Di Maio e la "ceppa": il governo del popolo tutto insulti e parolacce

Durante una delle tante dirette Twitter con hashtag relativo a un importante talk show, qualche giorno fa, un utente commentava: «Ormai la parola puttana è stata sdoganata in prima serata». Non si trattava di una delle tante risse televisive. Semplicemente, in studio si commentava uno dei fatti più rilevanti della settimana: gli insulti rivolti da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ai giornalisti, accusati di sciacallaggio e meretricio.

Così il turpiloquio è diventato parte integrante dell'agenda di governo. Ieri il vicepremier pentastellato ha dato di nuovo prova di assenza di bon ton linguistico, in un post sull'inquinamento in Campania: «Quindi gli inceneritori non c'entrano una beneamata ceppa» ha sentenziato Di Maio, ricordando che «non sono nel contratto» per replicare al parigrado Matteo Salvini che aveva invitato la Regione a dotarsi di termovalorizzatori. Secondo il dizionario Treccani il termina indica la «parte dell'albero che sta sotto terra e in parte a fior di terra, e da cui si dipartono le radici». Inoltre, la ceppa, è il nome colloquiale per chiamare la cheppia, un pesce di laguna. Ma il capo politico M5s ha usato la parola secondo la sua interpretazione più estensiva, ovvero col significato di pene, organo riproduttivo maschile.

Restando nelle vicinanze anatomiche, se si scorre il profilo Facebook di Di Maio, c'è un altro post di ieri, sulla questione Ischia, definita come la «balla del condono». Una ceppa e una balla nel giro di poche ore, altro che le complicate perifrasi della Prima Repubblica.

Passiamo all'altro azionista di governo. Al di là del merito del gravissimo episodio, sempre ieri, in un post su Facebook Matteo Salvini ha apostrofato come «verme» un ventenne somalo che ha aggredito una signora in spiaggia a Ortona. Mentre Jean-Claude Juncker, presidente della commissione europea, per il Capitano è «ubriaco». E dopo il primo stop di Mattarella all'esecutivo gialloverde, il segretario del Carroccio aveva scritto «sono incazzato nero».

Tra i ministri spicca Barbara Lezzi, a capo del dicastero per il Sud e le sue urla rivolte al governatore pugliese del Pd Michele Emiliano durante una conferenza stampa sul Tap: «Hai fatto una sceneggiata» disse la grillina Lezzi, tra grida e isterismi. Non era ancora ministro dell'Agricoltura, ma il leghista Gian Marco Centinaio aveva fatto discutere a giugno 2017 quando al Senato si rivolse all'allora presidente Pietro Grasso chiamandolo «infame» e «terrone di merda». Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, ha fatto arrabbiare di recente gli avvocati penalisti per averli chiamati «azzeccagarbugli».

Senza dimenticare le performance di due sottosegretarie: la grillina Laura Castelli all'Economia e la leghista Lucia Borgonzoni ai Beni culturali.

La Castelli avrebbe detto del «suo» ministro Tria «a quello lì lo asfalto». La collega del Carroccio, in un comizio a Parma a luglio scorso, ha promesso di assestare «un bel calcio in culo ai comunisti». Giusto per chiarire il concetto.

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