Le mance elettorali del governo: rischiamo 35 miliardi di tasse

Senza le coperture alle clausole di salvaguardia inserite da Renzi nella Stabilità, scatteranno gli aumenti di Iva e accise: una mazzata da quasi 1.400 euro a famiglia

Le mance elettorali del governo: rischiamo 35 miliardi di tasse

Il 2016 è iniziato da poco, ma Matteo Renzi sa che dovrà correre se non vorrà essere travolto da una valanga. E qui non si tratta del referendum confermativo della riforma costituzionale, ma dei circa 35 miliardi di clausole di salvaguardia da sterilizzare per il biennio 2017-2018. L'attualità politica, non ultimo il caso Banca Etruria, ha oscurato le parti meno commendevoli della legge di Stabilità.Occorre perciò ricordare che il mancato aumento di Iva e accise per 16 miliardi quest'anno imporrà di ricercare 15,1 miliardi per l'anno prossimo in modo da evitare che le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto salgano dal 10 al 13% e dal 22 al 24. Nel 2018, invece, serviranno 19,5 miliardi tra aggravio Iva dal 24 al 25% e incremento delle accise.

Come far quadrare i conti? Finora il premier Matteo Renzi ha approfittato della flessibilità che l'Ue dovrebbe concedere su riforme, migranti, sicurezza e difesa. A Bruxelles la Stabilità è ancora sub iudice, è difficile perciò ipotizzare che il trucchetto possa essere nuovamente utilizzato l'anno prossimo, soprattutto dopo le forti polemiche antitedesche del presidente del Consiglio.In buona sostanza, Renzi ha giocato tutte le fiches sul tavolo dei consumi allo scopo di dar vigore alla ripresa economica. I mancati aumenti dell'Iva, l'abolizione della Tasi sulla prima casa e la conferma del bonus degli 80 euro sono finalizzati a questo obiettivo, con il non troppo nascosto intento di procurarsi anche consenso elettorale in vista delle amministrative e del referendum.

La Cgia di Mestre ieri ha dato al premier una buona notizia e una cattiva. La prima è che il complesso delle misure della Stabilità, orientate soprattutto verso le famiglie, dovrebbe determinare una riduzione della pressione fiscale dal 43,7% del Pil stimato per il 2015 al 43,1% previsto per quest'anno. La mala novella è che «il carico fiscale rischia di tornare a crescere nelle Regioni in disavanzo sanitario che, per sanare i conti, potrebbero essere tentate ad aumentare la tassazione locale», ha sottolineato il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo.Un esempio parzialmente calzante è fornito dagli aumenti tariffari di questi ultimi giorni. Se quelli di pedaggi autostradali e biglietti ferroviari sono previsti da apposite convenzioni con il ministero delle Infrastrutture, il discorso è diverso per le tasse aeroportuali in quanto ai Comuni, in questo caso, è stato concesso di recuperare introiti a spese di chi viaggia in aereo. Ora provate un attimo a immaginare cosa potrebbe accadere se i 35 miliardi di Iva e accise si abbattessero su tutti i consumi. La recessione sarebbe molto più di un'ipotesi di scuola. Anzi, spalmando gli aumenti sui 25 milioni di famiglie italiane, si otterrebbe un salasso vicino ai 1.400 euro per nucleo.

A quel punto per Renzi sarebbe molto difficile tener fede alle promesse di ridurre l'Ires di tre punti nel 2017 (costo di circa 3,5 miliardi) e riformare l'Irpef nel 2018. L'unica via d'uscita sarebbe una crescita del Pil superiore all'1,4% finora previsto oppure una seria spending review. Il problema, costato il posto ai superconsulenti Carlo Cottarelli e Roberto Perotti, è che il riordino della spesa pubblica è di per sé un aumento delle tasse.

O per via diretta, come proponeva Perotti, disboscando almeno 1,5 miliardi di agevolazioni fiscali. O per via indiretta, come proponeva Cottarelli, riducendo sensibilmente il perimetro dell'intervento pubblico, a partire dalle pensioni.

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