Le mani di Orlando sulla Procura di Napoli. E tra le toghe è rissa

In pole Melillo, fedelissimo del Guardasigilli. L'ex capo accusa: pensionato mentre indagavo

Le mani di Orlando sulla Procura di Napoli. E tra le toghe è rissa

Ha cominciato il magistrato-politico Michele Emiliano, con i sospetti sul possibile «conflitto d'interessi» del suo antagonista candidato segretario Pd Andrea Orlando, che è anche Guardasigilli. Ma ora Giovanni Colangelo aggiunge tasselli inquietanti.

Perché l'ex procuratore di Napoli, mandato in pensione nel pieno dell'inchiesta Consip nata nel suo ufficio, accredita l'ipotesi di essere stato sostituito per essersi troppo avvicinato al potere renziano. «Interrogativo legittimo e interessante», risponde alla domanda in proposito de La Repubblica. Il problema è che Colangelo, 70 anni, ha dovuto lasciare il posto occupato dal maggio 2012 fino al 17 febbraio scorso, perché il governo non l'ha fatto rientrare nella proroga del pensionamento a 72 anni, inizialmente promessa, poi limitata ai vertici della Cassazione. Decreto legge molto contestato dall'Anm, anche con l'assenza all'inaugurazione dell'anno giudiziario alla Suprema Corte, al grido: no a magistrati di serie A e B.

Per completare il quadro bisogna dire che in corsa per la successione a Colangelo, c'è Giovanni Melillo, capo di gabinetto di Orlando ed esponente storico di Magistratura Democratica, ora Area, in pole position con Federico Cafiero de Raho, procuratore di Reggio Calabria. Ambedue sono in lizza anche per sostituire Franco Roberti a capo della Direzione nazionale Antimafia e certo si spartiranno i posti. A Napoli il reggente è l'aggiunto Nunzio Fragliasso ma il Csm deciderà probabilmente verso Pasqua e potrebbe essere il braccio destro di Orlando a guidare la procura più grande d'Italia. Melillo puntava ad un altro posto di grande prestigio, quello lasciato da Edmondo Bruti Liberati al vertice della procura di Milano, ma nella primavera 2016 si è dovuto ritirare dalla corsa, a causa delle polemiche per il sospetto che il governo volesse mettere le mani su una poltrona tanto delicata.

«Mica si chiedevano due anni di proroga. Bastavano quei dieci mesi che a me non cambiavano la vita, ma forse servivano all'organizzazione», fa notare Colangelo. Invece, non c'è stato niente da fare e ora l'ex procuratore sottolinea che la sua uscita ha prodotto «un danno» per l'ufficio giudiziario. Ricorda anche il ruolo del governo e del Pd nel restringere la deroga a pochissimi beneficiari: in sede di conversione del decreto, in commissione Giustizia del Senato, si arrivò a sostituire due parlamentari dem della minoranza, per impedire che votassero l'emendamento che avrebbe esteso la proroga, e avrebbe lasciato in servizio Colangelo. «Credo che la sostituzione dei parlamentari, il giorno prima, sia un unicum, senza precedenti», commenta amareggiato l'ex procuratore.

Con Napoli Orlando ha un legame stretto, visto che Bersani scelse proprio lui come commissario del Pd nel capoluogo partenopeo nel 2011. Ora annuncia che proprio sotto il Vesuvio farà la sua assemblea programmatica.

Si dice che a volere Orlando al ministero della Giustizia sia stato il presidente emerito Giorgio Napolitano e che sia stato anche lo sponsor della sua candidatura anti-Renzi. «Con lui ho un rapporto forte, ma credo che si terrà fuori dalla vicenda congressuale», assicura Orlando.

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