Le intercettazioni al bar. Altro che segreti, filtri e udienze stralcio. Vecchie e nuove leggi, disquisizioni teoriche sui limiti dell'informazione. È una confessione sconcertante e coraggiosa quella che è andata in onda, a sorpresa, ieri sera a Porta a porta . Marcello Sorgi, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano oggi editorialista della Stampa , si autodenuncia e racconta un frammento drammatico di vita italiana. Siamo a Napoli, all'inizio del 2008, e il Guardasigilli Clemente Mastella finisce sotto attacco: i giornali pubblicano le intercettazioni che riguardano lui e la moglie Sandra Lonardo, presidente del consiglio regionale della Campania, sotto indagine a Santa Maria Capua Vetere. Mastella, inseguito da nastri e bobine, getta la spugna e si dimette. Il Governo Prodi, già barcollante, viene giù e l'Italia torna al voto. Uno snodo drammatico che ora Sorgi illumina nello studio di Bruno Vespa: «Fui mandato a Napoli e mi associai ad alcuni colleghi». Veterani della cronaca giudiziaria. Sorgi, come altri inviati, cerca di recuperare gli incartamenti dell'indagine, trasferita intanto a Napoli.
Ed ecco il colpo di scena: «Andammo al bar Gambrinus, sotto la prefettura, e dalla prefettura arrivò un funzionario con cinque chiavette in cui c'erano le 450 pagine delle intercettazioni». Insomma, al di là delle retorica di tante dichiarazioni ipocrite ascoltate in questi anni, Sorgi sembra confermare il più diffuso dei luoghi comuni: esiste una corsia privilegiata, un rapporto preferenziale, una liaison fra i cronisti e le procure o, comunque, gli uffici della pubblica amministrazione. In questo caso, a quel che si capisce, un pezzo dello Stato lavorava per diffondere dialoghi che avrebbero accelerato l'evaporazione del governo. Qualcosa stride.
E certo, le parole di Sorgi fanno riflettere. Anzi, secondo Clemente Mastella sono «inquietanti. Sorgi - spiega Mastella - nel ricordare l'episodio si è detto sconcertato per il fatto che, mentre cadeva il governo Prodi, un funzionario di governo si era prestato in modo solerte, senza che ne avesse alcun dovere istituzionale, a fornire in anteprima i contenuti di alcune intercettazioni. E se si è dichiarato sconcertato Sorgi a maggior ragione resto allibito ed esterrefatto io. Sono sempre più convinto che in quella circostanza si mossero poteri che lentamente spero di decifrare, poteri che concorsero in maniera violenta ad umiliare la mia persona, la mia famiglia, e che determinarono la caduta del governo Prodi». Insomma, le vicende Lupi e D'Alema sono figlie di una cultura che da molti anni va per la maggiore nel nostro Paese. Rabbia, indignazione & scoop. Gli atti delle inchieste prima o poi, ma spesso più prima che poi, atterrano sui giornali sprigionando notizie, suggestioni, veleni. Un intreccio inestricabile che va ben oltre il recinto delle indagini e tocca invece l'immagine delle persone e delle istituzioni. Così ad ogni nuova puntata si riaccende il dibattito sulla necessità di una legge che poi puntualmente naufraga in un interminabile gioco dell'oca. Oggi siamo di nuovo al punto di partenza e ancora si discute se chiudere o no, e in che modo, i rubinetti della comunicazione.
«Ricordo - aggiunge Mastella al Giornale - che io fui autore da ministro della Giustizia di un testo di legge che metteva ordine in quella delicatissima materia. Io individuavo precise responsabilità nel caso di pubblicazione di atti ancora coperti dal segreto. Purtroppo al Senato il Pd si mise di traverso e non se ne fece nulla».
Le cimici lavorano ancora con ritmi da catena di montaggio e le redazioni fanno il taglia ed cuci
di quelle conversazioni, fra omissis, parole incomprensibili e puntini di sospensione. Nulla è cambiato in questi anni, a parte i nomi dei bersagli. La giostra gira e ad ogni giro ecco un altro scandalo. E un altro ancora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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