Una sedia sobria piazzata al centro dello studio, un quadro giallo dipinto da un ragazzo autistico in bella mostra sulla sinistra, una telecamera che stringe in piano americano. Le bandiere, gli stendardi, gli arazzi, i telefoni e la scrivania, cioè i simboli del potere e dell'istituzione, sono lasciati sullo sfondo, a debita distanza. Il nuovo capo dell'opposizione si presenta così, come un amico di famiglia, vicino fisicamente agli italiani, uno che non la tira troppo lunga durante il cenone e al quale bastano dodici minuti per demolire il governo, che da questo momento è sotto stretta osservazione del Quirinale.
Il quarto discorso di Capodanno di Sergio Mattarella è anche il più duro e il più politico. La manovra, passata sul filo di lana e senza dibattito alle Camere, ha segnato dunque la svolta: basta con la moral suasion, il capo dello Stato resta arbitro ma non rinuncia dire la sua. Certo, spiega il presidente, «è stato importante evitare la procedura d'infrazione europea» e il disastro sui mercati è stato scongiurato. Però, a che prezzo? «La grande compressione dell'esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un'attenta verifica dei contenuti del provvedimento». Quell'Ires sulle organizzazioni no-profit, tanto per dirne una, va rivista in fretta: «Non si può tassare la bontà» di chi «supplisce ai ritardi dello Stato». E le forze armate: «Il loro impiego non va snaturato», è impensabile usare l'esercito per tappare le buche di Roma.
E ancora. La legge di bilancio, con le sue clausole di salvaguardia da cinquanta miliardi in due anni, lascia «ancora diverse questioni da risolvere». Quali? Ad esempio, «la mancanza di lavoro che si mantiene a livelli intollerabili». Oppure, «l'alto debito pubblico che penalizza lo Stato e i cittadini e pone una pesante ipoteca sul futuro dei giovani». Su questi e sugli altri problemi d'ora in avanti «va assicurato un adeguato confronto in Parlamento». Le istituzioni «sono al servizio della comunità», non il contrario.
Più in generale, è l'idea dell'Italia di Mattarella a stridere con il populismo di governo. «Il modello di vita non può essere quello degli ultras violenti degli stadi di calcio, estremisti travestiti da tifosi. Alimentano focolai di odio settario, di discriminazione, di teppismo». I curvaroli della politica si diano una regolata. E pure quando parla di sicurezza e sembra quasi dare ragione a Matteo Salvini, perché «la domanda c'è ed è forte», in realtà fissa dei limiti precisi. La sicurezza si ottiene solo «se tutti si sentono rispettati e se si garantiscono i valori positivi della convivenza». Una «comunità», insiste, «significa essere consapevoli degli elementi che ci uniscono rifiutando l'astio, l'insulto, l'intolleranza, che creano ostilità e timore». In Italia, dice, vivono cinque milioni di immigrati ben integrati, che lavorano e pagano le tasse: «A loro i miei auguri».
E non si tratta soltanto «di retorica dei buoni sentimenti».
Non è buonismo di maniera, ma una bastonata, mite e felpata, verso chi ha la forza del consenso e la sta usando come esercizio divisivo del potere più che come costruzione di un «senso comune» Come scrive nel messaggio al Papa, «la buona politica non alimenta paura e nazionalismo». A proposito, tra qualche mese ci sono le europee. «Quattrocento milioni di elettori, il più grande esercizio democratico del mondo». Non sviliamo «il nostro futuro» con le solite risse da cortile.
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