Meglio un bandito al cimitero

Il problema non è «farsi giustizia da sé» ma impedire sia commessa un'ingiustizia. Se ciò impone l'uso di un'arma, pazienza. Meglio un ladro steso che un cittadino onesto al cimitero

Meglio un bandito al cimitero

Chi ha scritto la legge sulla legittima difesa, e coloro che l'hanno approvata, non hanno tutte le rotelle a posto. Quantomeno, al momento di elaborare la norma, erano parzialmente incapaci di intendere se non, anche, di volere. Infatti, hanno licenziato una boiata pazzesca in base alla quale se il derubato viene ucciso dal ladro, il caso non suscita grande scalpore; se, viceversa, la vittima del furto reagisce, per difendere se stesso, la famiglia e i propri averi, e stecchisce il delinquente, apriti cielo: succede il finimondo. La prima cosa che fanno i media è quella di deprecare la cosiddetta «giustizia fai da te», giudicata inammissibile, incivile e chi più ne ha più ne metta.

I magistrati poi, applicando il codice alla lettera, perseguono l'uomo (o la donna) che non ha ceduto alla prevaricazione, accusandolo di eccesso di legittima difesa o, peggio, di omicidio volontario. Grane giudiziarie a non finire, spese legali mostruose e il rischio non remoto di essere sbattuto in galera quale assassino. La legge in questione recita alcune assurdità. La più grossa: se l'aggredito è in una situazione di pericolo attuale, è legittimato a ribellarsi. Attenzione, però. Può contrattaccare esclusivamente con mezzi proporzionati a quelli di cui dispone l'aggressore. Un concetto più surreale non esiste.

In sostanza il disgraziato che si trova a tu per tu col farabutto che ha osato entrare in casa sua non per rendergli omaggio, bensì per depredarlo, non ha facoltà di por mano alla pistola, se non dopo essersi accertato che il farabutto stesso sia a propria volta armato di una rivoltella. In questo modo l'aggredito e l'aggressore sono pari, quindi autorizzati a duellare. Ma coma fa l'aggredito a verificare che l'aggressore abbia in tasca un'arma da fuoco o un temperino? Logica vorrebbe che il primo perquisisse il secondo, magari aprendo un estemporaneo dibattito: scusi signor ladro, lei porta un coltello a serramanico o una P38, sia pure fuori moda? Se la risposta è affermativa, la sparatoria inizi pure, altrimenti non se ne fa niente. Se il furfante, nelle more, sferra un cazzottone al proprietario dell'alloggio, questi se ne faccia una ragione. Se non è un buon pugile, anche solo dilettante, sono affari suoi. Al legislatore non gliene importa nulla. Gli preme solo che tra il grassatore e il suo «avversario» si stabilisca un rapporto cavalleresco.

Siamo alla quintessenza della stupidità. Va da sé, un tizio che entra nel tuo appartamento di notte non è un visitatore cortese. Ovvio che tu tremi di paura, non sei lucidissimo e non gli chiedi spiegazioni, ma allontani la minaccia come puoi, anche sparando, giacché sai che in certe circostanze o crepa lui o crepi tu. Lo stato d'animo di chi è in procinto di essere sopraffatto non è sereno quanto quello di un pm che valuta i fatti a freddo, seduto alla scrivania. Le nostre non sono elucubrazioni da esaltati amanti dei film western, ma di persone che si immedesimano in chi subisce un sopruso.

È evidente che una legge così sconsiderata sia da modificare in senso realistico. D'accordo che l'Italia ha ereditato dal cattocomunismo l'idea che la proprietà sia equiparata al furto e, pertanto, indifendibile. Ma sarebbe ora di cambiare mentalità.

Proteggere i propri beni non è un delitto. Il problema non è «farsi giustizia da sé» ma impedire sia commessa un'ingiustizia. Se ciò impone l'uso di un'arma, pazienza. Meglio un ladro steso che un cittadino onesto al cimitero.

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