"Messo alla gogna senza alcun motivo"

Il maresciallo capo Roberto Mandolini, accusato per il caso Cucchi: "Una perizia scagiona me e l'Arma"

Il maresciallo capo Roberto Mandolini
Il maresciallo capo Roberto Mandolini

«Le lesioni contusive riportate da Stefano Cucchi dopo il 15 ottobre 2009 non possono essere considerate correlabili con l'evento morte»: è questa la frase che scagiona il maresciallo capo Roberto Mandolini (nella foto), comandante, all'epoca della morte del giovane arrestato e portato nella stazione Roma Appia (nella quale Stefano fu portato dopo l'arresto) e i suoi uomini. «Siamo innocenti - spiega Mandolini - siamo stati messi alla gogna senza alcun motivo. L'Arma è pulita e questa perizia lo dimostra».

Maresciallo, come entrò Cucchi nella sua vita?

«All'epoca comandavo interinalmente la stazione di Roma Appia. Arrestammo Cucchi dopo una segnalazione di spaccio e dopo le procedure del caso fu portato in cella a Tor Sapienza. I miei uomini perquisirono la casa dei genitori del giovane, ma l'ingente quantitativo di droga fu trovato dopo in un secondo appartamento sempre di proprietà del Cucchi, ma all'epoca sconosciuto. La mattina dopo fu portato in tribunale per il rito direttissimo. Incontrò il padre, si abbracciarono e l'uomo dichiarò (e lo prova un video) che Stefano stava benissimo, parlava e che non aveva nulla».

Che successe dopo?

«Il giudice convalidò l'arresto e dispose la custodia cautelare in carcere. Venne allora portato a Regina Coeli. Venne preso in carico e noi andammo via. E chiunque del mestiere sa che la polizia penitenziaria, se il detenuto ha lesioni evidenti, non lo accetta, ma lo manda a fare una visita al pronto soccorso. Questo non avvenne. Per noi l'arresto Cucchi, amministrativamente e burocraticamente finì lì».

Quindi voi non lo avete sfiorato neanche con un dito?

«Non lo dico io che sarei di parte, lo dice il padre, come da sempre le varie perizie (comprese quelle dei Cucchi)».

E gli ematomi che si vedono nella foto postata dalla sorella Ilaria Cucchi?

«Dalla perizia formata da 14mila lastre, da ogni esame esterno o interno risulta che non si tratta di ecchimosi o lividi, ma di macchie ipostatiche dovute alla condizione post mortem».

Coi suoi uomini si sente vittima di una gogna mediatica?

«Devo dire che a me ha salvato l'opinione pubblica quella vera, formata da gente che ha letto le carte. In due giorni ho ricevuto 10mila messaggi privati. Mi ricordo che ho dovuto portare mio figlio a scuola in divisa per far vedere che tutto andava bene ed è stato come Mosé quando si aprono le acque. Non auguro a nessuno di dover spegnere il telegiornale per non far sentire il nome del padre ai figli oppure nascondere ogni cosa al coniuge per far vedere che tutto è come prima. Non è semplice».

L'Arma come è stata con lei?

«Integerrima e super partes, come è giusto che sia. Ha controllato ogni minima cosa, ogni minimo atto. Io sono stato interrogato per ore e ore dal pm e non c'è stato mai nulla perché vi assicuro che se avessi sbagliato di un millimetro starei già dentro da qualche anno».

In che fase processuale siamo?

«Siamo ancora in fase di indagini preliminari. Il gip Tamburelli, per dissipare ogni dubbio dalle perizie medico legali precedenti, ha fatto fare una perizia sulle perizie. È stato fatto un lavoro certosino. È qualcosa di straordinario, da cui emerge la vera verità».

Per lei chi ha ucciso Stefano, allora?

«Ha chiarito la perizia».

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