Venezia «Undici anni e mezzo così. Le è sufficiente?». È il padre di Elisa che ci parla mentre sistema la testa della figlia adagiata su quel letto della casa di riposo Antica Scuola dei Battuti di Mestre. Lì al terzo piano a cui si accede oltrepassando una «Sezione riservata» sta la figlia, ora 46enne, in stato vegetativo persistente da quasi dodici anni. Era il 22 febbraio del 2006 quando Elisa e il suo fidanzato erano di ritorno da Padova. Un colpo di sonno di lui e l'auto finisce fuori strada. Lui si salva con poche fratture, lei sbatte violentemente la testa sul cruscotto e il cervello si frantuma in mille pezzi. Una parte della scatola cranica rimane dentro la vettura e i medici possono soltanto tenerla in vita. Il fidanzato dopo circa sei mesi si toglie la vita.
Ieri abbiamo incontrato il padre di Elisa e siamo andati a vederla. Di quella ragazza bella, raggiante, con i capelli ricci e il rossetto rosso come ci mostra il padre in una foto rimane poco. Stesa su un letto d'ospedale, il capo rivolto verso l'alto, la bocca spalancata, le labbra che si muovono su e giù senza sfiorarsi mai e le ciglia che sbattono con un movimento repentino quasi meccanico. Il padre Giuseppe, 69 anni, è l'unico parente in vita.
Giuseppe, oltre undici anni così.
«La sera dell'incidente - racconta a Il Giornale - i medici mi dissero: Abbiamo fatto pulizia di grumi di sangue misto a cervello. Sono passati undici anni e mezzo, girando vari ospedali, prima all'Angelo di Mestre, poi al San Camillo agli Alberoni (Lido di Venezia), poi a Villa Salus e ora qui. L'Ulss ha messo a disposizione quattro posti letto per stati vegetativi».
Per sua figlia non c'è alcuna speranza?
«Metà calotta cranica ancora non ce l'ha. Ha un affossamento. Che speranze ci sono? Non voglio farne un caso personale, in Italia è pieno di casi così, si parla di eutanasia, testamento biologico e poi?».
Sua figlia Le aveva mai detto cosa avrebbe voluto in questi casi?
«No. Ma se qualsiasi persona vedesse un caso del genere, direbbe che vuole morire. Mia figlia è senza cervello. Non avrebbe alcun recupero».
Lì in quel corpo, lei vede ancora sua figlia?
«C'è poco di mia figlia lì. Dopo due tre anni i piedi vanno contro giù, le gambe diventano secche. Mia figlia non è come noi che se c'è il sole godiamo del sole e se piove godiamo del fresco. Sente sensazioni come il caldo, perché le si arrossa la faccia».
Da cosa è tenuta in vita sua figlia?
«La tracheotomia le consente di respirare, ha un tubicino nella pancia per mangiare e bere, il catetere e varie strumentazioni per la respirazione. Da quando è morta Eluana Englaro hanno detto che idratazione e alimentazione non sono accanimento terapeutico, ma io fintanto che ci mettono i medicinali per me è un trattamento con farmaci».
Lei toglierebbe a sua figlia questi trattamenti?
«In un caso come quello di Elisa, deve essere un parente che decide sulla conclusione di questa situazione. Elisa non può decidere».
Lei si è rivolto anche ai legali della Englaro.
«Sì, mi hanno detto di portarla a casa e quel che succede, succede, ma ci vorrebbe una struttura per sistemarla».
Lei
ora cosa chiede?«Vorrei che ci fosse una legge che stabilisca che dopo un certo periodo, dopo anni in cui la situazione diventa definitiva ci sia la possibilità di una morte dignitosa. Ma la legge non ci tutela».
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