Roma - Dal dramma-dimissioni alla barzelletta. Il cerchio delle giornata più lunga per Marino, pressato dall'opposizione, dal suo partito, dall'opinione pubblica e ora pure dalla magistratura, si chiude come si era chiusa poco meno di un anno fa la tragicomica vicenda delle multe non pagate della Panda rossa del sindaco. Col primo cittadino che «rimborsa» le casse comunali per il danno, negando contemporaneamente che quel danno ci sia. I soldi spesi, spiega in serata Marino, «ho deciso di regalarli tutti di tasca mia a Roma e di non avere più una carta di credito del Comune a mio nome». Un «regalo» perché lui, ovviamente, ritiene che i soldi spesi fossero tutti «per motivi istituzionali», nonostante le smentite giunte dai «presunti» ospiti alle cene offerte dal sindaco con i soldi dei romani. Restituirà pure il costo della cena col «mecenate Usmanov», 3.540 euro, evento conviviale che a suo dire avrebbe contribuito a portare nelle «casse del Campidoglio 2 milioni di euro».
Insomma, più che indagare su di me, ringraziatemi, sembra suggerire il sindaco, che anche con le cifre va al ribasso, contando le sole spese di rappresentanza saldate con la famigerata carta di credito, ossia quelle che sull'onda delle pressioni il Campidoglio qualche giorno fa ha messo online. Ma la burletta di Marino che ha bissato il caso-Panda, non cambia la sostanza di un quadro generale nel quale ormai nemmeno il Pd sembra convinto di temporeggiare ancora con l'imbarazzante caso Roma.
Ieri, di fronte ai rumors di possibili magagne giudiziarie (oltre al peculato ipotizzato da Fdi e M5S, se il pm dovesse riscontrare balle nelle dichiarazioni allegate agli scontrini, si configurerebbe anche il falso), infatti, Matteo Renzi avrebbe manifestato la propria insofferenza verso l'ultimo pasticcio capitolino. Dalle riunioni in successione dei dem nazionali e del Pd romano filtravano voci di un siluro in arrivo per Marino in vista dell'approvazione del bilancio. In caso di mancata approvazione, per esempio per il venir meno dell'appoggio della sua stessa maggioranza, il Campidoglio finirebbe commissariato, Marino potrebbe anticipare il suo trasferimento a Sydney e il prefetto Franco Gabrielli - che già è commissario de facto - prenderebbe ufficialmente il suo posto. Il tutto, senza dover andare subito alle urne, che è il timore del Pd romano, a terra nei sondaggi mentre i Cinque Stelle sono alle stelle.
Di fronte a questa ipotesi, il sindaco si è imbufalito. «Mi dimetto», avrebbe ringhiato Marino, chiuso nella sua stanza affacciata sul Foro romano con i suoi più stretti collaboratori, valutando di smentire se stesso con l'ultimo colpo da marziano. Andare via per dare uno schiaffo al Pd. Solo che quando l'ipotesi dimissioni ha cominciato a circolare, mentre il commissario romano del Pd Matteo Orfini tentava di far recedere il sindaco dall'autodefenestrazione, Renzi non si è mosso. Anzi, il premier avrebbe fatto capire ai suoi di gradire la soluzione, che avrebbe inguaiato i dem capitolini ma, almeno, avrebbe messo la parola fine alla telenovela.
È a quel punto che il chirurgo prestato alla politica ha deciso di fare un passo indietro, non dalla poltrona di sindaco ma dalla decisione di dimettersi. Scegliendo come exit strategy dal pasticciaccio la riedizione della farsa delle multe dell'autunno scorso.
Ecco dunque che le spese pazze diventato «un regalo» ai romani, e il pastrocchio del viaggio da imbucato al seguito del Papa e delle spese pazze diventa «il tentativo di sovvertire la scelta democratica dei cittadini». Un paradosso, tanto che Alfio Marchini su Twitter trasecola e «bussa» a casa Renzi: «Marino: è vero ho messo le mani in tasca dei romani. Li restituisco e resto al mio posto. Palazzo Chigi?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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