Giorgio Napolitano non riesce a capacitarsene, ma la realtà è lì sotto gli occhi di tutti: Donald Trump è stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti d'America.
Sulla poltrona che è stata di Obama si siederà il magnate colorato d'arancione e il Presidente emerito della Repubblica mastica amaro. In un intervento pubblicato oggi sul quotidiano torinese La Stampa, Napolitano prova ad analizzare "l'impensabile" trionfo del tycoon nella corsa per la Casa Bianca, contro "gli equilibri sociali ed elettorali, le basi di convivenza civile, la dialettica partitica" tradizionali della galassia a stelle e strisce.
Il predecessore di Sergio Mattarella scrive di "un rigetto di istituzioni e regole tradizionali", intriso di "demagogia, irragionevolezza, carica distruttiva e disgregativa". In definitiva dal suo ragionmento emerge il ritratto della vittoria di chi è insoddisfatto di ogni tipo di establishment e colpito dalla globalizzazione. Dopo un rapido mea culpa per le politiche europee di austerity che "non sono valse dinnanzi alla crisi" (sic), Napolitano invita i democratici sconfitti a fare autocritica.
E conclude augurandosi che il moderato discorso della vittoria rifletta, "ci auguriamo", qualche consapevolezza delle responsabilità di
un presidente. Solo il tempo potrà dire se gli auspici del Presidente emerito si realizzeranno. Ognuno, d'altronde, ha il presidente che si sceglie. O almeno così dovrebbe funzionare in democrazia, che ci piaccia o meno.
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