Sulla riforma costituzionale io sto con Scalfari e con il direttore Sallusti. Come ho già detto, infatti, ritengo che la posizione del presidente emerito Napolitano a difesa del Senato non elettivo non sia condivisibile né nel metodo, né nel merito.
Quanto al metodo, mi preme ricordare quanto dichiarava l'on. Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione dell'Assemblea Costituente, il 25 settembre del 1947: «La qualità di senatore di diritto ed a vita è da riserbarsi ai soli ex Presidenti della Repubblica, che per il posto da essi occupato non possono discendere, alla fine del loro mandato, nell'agone elettorale».
Insomma, anche se membri di un organo politico, il ruolo degli ex presidenti quali senatori a vita (anche se Napolitano lo era in quanto nominato da Ciampi nel 2005, prima della sua elezione al Colle) non può essere quello di chi si schiera nell'agone elettorale, né dovrebbe apparire tale. Il fatto è però che Napolitano interviene su un provvedimento che non nasce da un'iniziativa parlamentare, ma è stato presentato dal governo. Esso è dunque formalmente espressione dell'indirizzo della maggioranza. E infatti sta spaccando il Parlamento in due: maggioranza (e non tutta) da un lato e opposizioni dall'altra. Ricordiamo inoltre che la decisione sulla emendabilità del testo, dopo il passaggio alla Camera, spetta al presidente del Senato, Pietro Grasso, e a nessun altro. E quest'ultimo non andrebbe tirato violentemente per la giacchetta.
Ci si sarebbe pertanto attesi una maggior cautela da Napolitano, proprio per fugare i sospetti di discesa «nell'agone elettorale». Sospetti che si accrescono se si considera la posizione - ben diversa ed estremamente «preoccupata» - che l'attuale presidente emerito tenne, da senatore a vita, in occasione della riforma del 2005 del governo Berlusconi, con argomenti che somigliano a quelli che oggi Scalfari usa per manifestare le proprie preoccupazioni. Con le sue ripetute esternazioni Napolitano sembra voler quasi intimidire Forza Italia. Lo rassicuriamo, non ci riuscirà.
Ma al di là del metodo c'è il merito. Scalfari segnala quello che anche noi diciamo da tempo: la combinazione dell'Italicum con il Senato non elettivo pone dei rischi per la rappresentatività democratica. Mette le condizioni perché il Paese sia governato decisionisticamente da un partito che potrebbe aver avuto anche solo il 20% del consenso al primo turno. E con un Senato irrilevante. Il presidente emerito Napolitano ha sempre ignorato, nei suoi interventi, il combinato disposto tra questi due aspetti (legge elettorale e smantellamento del Senato), trincerandosi dietro argomentazioni presentate come verità incontrovertibili del costituzionalismo: il Senato elettivo implica il potere di dare la fiducia al governo e dunque va evitato perché si tornerebbe al bicameralismo paritario, tradendo la riforma.
La verità è che queste supposte verità non sono verità. Perché sono contraddette da quello che succede in molti paesi del mondo. Negli Stati Uniti, in Australia, in Spagna, ad esempio, il Senato è (in tutto o in parte) eletto direttamente e ciò non pregiudica la natura fortemente differenziata del bicameralismo. E in Australia e in Spagna, dove vige un sistema parlamentare, la seconda Camera non dà la fiducia al governo. Il modello di elezione indiretta da parte delle assemblee territoriali, invece, esiste essenzialmente in Austria, perché negli Stati Uniti fu abbandonato all'inizio del secolo scorso.
Per di più, aggiungiamo, basta leggere le audizioni che si sono tenute in questi mesi tra Camera e Senato per capire che tutti gli esperti sono sì per superare il bicameralismo paritario così com'è, ma dicono allo stesso tempo in modo incontrovertibile che questo testo va cambiato e anche parecchio. Il ddl Boschi ha bisogno di strutturali modifiche. Inoltre, l'attuale pacchetto di riforme costituzionali prevede il mantenimento della Conferenza Stato-Regioni. Ci chiediamo: a cosa servirà allora il Senato delle Autonomie territoriali se il negoziato tra Stato e Regioni si farà comunque altrove? Il rischio, da noi in diverse occasioni evidenziato, è che Palazzo Madama si trasformi in un dopolavoro.
Discutiamo dunque anche con asprezza, ma senza evocare dogmi inesistenti, perché poi il rischio è che appaiano come tentativi per mascherare quella partecipazione «all'agone elettorale» che i costituenti volevano espressamente evitare da parte degli ex presidenti della Repubblica.
Una cosa è certa: nel combinato disposto dell'Italicum con l'attuale riforma del Senato, l'Italia è a grave rischio di regime, così come riportato nel documento approvato dal Consiglio Nazionale di Forza Italia lo scorso 4 agosto.
Noi proponiamo la revisione della riforma del bicameralismo paritario con l'elettività dei senatori e, per quanto riguarda la legge elettorale, l'attribuzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Più chiaro di così. Altre fantasiose scorciatoie non sono, per noi, percorribili.
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