Tentativo di attacco terrorista all'ambasciata di Israele ad Ankara: purtroppo non c'è niente di strano che un islamista urli «Allah Akbar» e cerchi di accoltellare qualcuno presso quella ambasciata; e nemmeno che esso venga qualificato subito da rappresentanti dei due Paesi interessati come «una persona mentalmente instabile». È il politically correct mondiale, ed è logico che sia nel linguaggio diplomatico quando la cosa accade nella capitale di un paese che negli ultimi anni ha fatto dell'attacco furioso e scriteriato contro Israele una delle sue principali carte d'identità, e che solo da poche settimane ha deciso, con un nuovo accordo fra i due Paesi, di ristabilire rapporti diplomatici e linguaggio decente. Ma l'attentato è invece tipicamente un attentato terrorista da «lupo solitario», non solo, fa anche parte di quegli attentati che esprimono le convulsioni cui è soggetta la Turchia di Erdogan, continuamente assediata da bombe stragiste.
L'attentatore che è stato fermato alla polizia turca si chiamam Omar Nuri Caliskan, ha 41anni; non ha nesso, a prima vista, con nessun gruppo islamista e con atteggiamento tipico, ha urlato «io cambierò il Medio Oriente». È riuscito a raggiungere il perimetro esterno dell'ambasciata, e le forze dell'ordine hanno ben reagito fermandolo con un colpo alle gambe. È l'alto stato di allarme dopo l'ondata di attacchi da parte dell'Isis e, come ripete Erdogan, dei Curdi. Già l'ambasciata britannica era stata chiusa venerdì scorso e quella tedesca ha offerto solo servizi limitati.
La Turchia, che cerca di lanciare da ogni parte segnali di ritorno alla normalità dopo il lungo scontro con Israele e anche con la Russia, è tuttavia in una posizione sia geografica, col suo confine con la Siria da cui ha facilitato l'ingresso dei foreign fighters per troppo tempo, sia politica, data la stretta autoritaria di Erdogan e il suo ingresso nella guerra antiribelli a fianco dei suoi peggiori nemici, Assad, e dei suoi infidi amici sciiti iraniani e hezbollah (mentre Erdogan è un riconosciuto leader della Fratellanza Musulmana). I curdi restano i suoi peggiori nemici, e certo il rischio dei loro attentati è sempre presente. Ma la Turchia per il terrorismo islamista è uno dei tanti campi da gioco più attraenti quando si pronuncia il nome «Israele»: le orecchie turche in questi anni sono state bersagliate dalla radio, dalla tv, dai discorsi ufficiali, con furibondi attacchi antisraeliani, Hamas è uno dei migliori amici di Erdogan.
Quindi, se anche Caliskan non ha nessun rapporto con organizzazioni terroriste e Internet è stato il suo leader e il suo maestro, pure ancora una volta come nel caso degli attentati di questi giorni in Israele, dieci in quattro giorni, l'incitamento ambientale è un fattore essenziale nella spinta a uccidere. Kaliskan era già schedato per aver manifestato pubblicamente feroci sentimenti antisraeliani: sì, può diventare una fissazione, una mania omicida, succede in molti casi, e si chiama antisemitismo.
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