Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'introduzione al libro "Arcipelago Ong. Inchiesta sulle navi umanitarie" (edizioni La Vela, 192 pagine), scritto da Giuseppe De Lorenzo.
Alla fine ci sono arrivati tutti. Lo ha capito papa Francesco, che durante il volo dalla Colombia a Roma ha ribadito l’obbligo cristiano all’accoglienza ma solo in base “a quanti posti ho”. Lo ha compreso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che da Malta ha ricalcato le parole del Pontefice affermando: “Bisogna avere una ragionevole capacità di accoglienza”. Sembrano aver afferrato il concetto pure dalle parti di Bruxelles, se nell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha spiegato che bisogna rimandare “nel loro paese di origine” chi non ha “il diritto di soggiornare in Europa”. Tradotto: rispedire a casa i clandestini. E lo stesso ha ripetuto in un’intervista al Corriere Frans Timmermans, 56enne vicepresidente della Commissione Ue, il quale vorrebbe aprire canali “all’immigrazione legale”, precisando però che questo dovrebbe avvenire non in maniera indiscriminata e soprattutto “senza confondere” i rifugiati con i migranti economici.
Tutti improvvisamente realisti. Realisti nel dire che l’accoglienza è un valore positivo, ma non assoluto e neppure cieco. Non può significare abbattere i muri dei propri confini in onore di un Dio eletto (erroneamente) a padre degli dèi: il progressismo. Se progressismo vuol dire aprire le porte a chiunque desideri approdare in uno Stato, senza regole né limitazioni, allora meglio essere retrogradi. Se per progressismo s’intende costringere un paese in crisi economica, con 4,7 milioni di poveri e la disoccupazione all’11,2%, a spendere 4,2 miliardi di euro l’anno per recuperare, curare e mantenere in costose strutture giovani senza alcun diritto all’asilo, allora meglio rimanere conservatori. L’accoglienza indiscriminata è un disvalore. Lo è per i (veri) rifugiati in fuga dalle guerre, che dopo due anni vissuti all’interno di un centro profughi si vedono consegnare i documenti e finiscono in mezzo a una strada, mentre migliaia di clandestini a suon di ricorsi si guadagnano un prolungamento del soggiorno coccolati dalle cooperative. Ed è un disvalore anche per chi non otterrà asilo, relegato dagli ipocriti a vivere una vita di illegalità. Un caro amico parroco che si occupa di accoglienza, un giorno mi fece notare: quando le centinaia di migliaia di migranti arrivati in questi anni usciranno dai centri, che fine faranno? Avremo orde di invisibili, fantasmi che andranno a foraggiare la criminalità per colpa di chi ha sposato acriticamente l’ospitalità a tutti i costi.
Un danno inimmaginabile. Un danno per i cittadini, costretti a sobbarcarsi un peso economico e sociale non indifferente. Un danno per lo Stato ospitante, che si dimostra incapace di gestire un flusso migratorio in base alle esigenze di elettori, cittadini ed economia nazionale. Un danno per gli Stati di partenza, impoveriti della loro forza lavoro migliore e obbligati a sopravvivere delle rimesse dei giovani fuggiti in Occidente. Un danno per l’Europa, piena di buoni propositi e vuota nei fatti: per due anni ha scaricato il peso su Grecia e Italia, incapace di mettere in pratica i proclami sulla solidarietà, per poi nascondere la polvere sotto il tappeto con l’accordo Turchia-Ue e con l’appoggio (tardivo) al ministro Marco Minniti. Benvenuti nel mondo reale.
Sarebbe bastato essere chiari dall’inizio: in Europa entri solo chi ha diritto all’asilo. Per anni le destre europee hanno invitato Bruxelles e le capitali del vecchio continente a impegnarsi in Africa realizzando centri di accoglienza (e scrematura) in modo da evitare inutili viaggi per mare. Ricorderete le reazioni: “Impossibile”, “Irrealizzabile”, “non risolverebbe i problemi” e via dicendo. Ora invece, a quattro anni dal drammatico naufragio dell’ottobre 2013, punto d’inizio della crisi migratoria, sia l’Ue sia l’Italia invitano l’Unhcr, l’Oim e le organizzazioni non governative ad andare in Libia per migliorare le condizioni detentive degli immigrati. E permettere alle istituzioni di portare in Europa solo i (veri) rifugiati.
Le più accanite nel bocciare i controlli dei flussi migratori furono (e sono) le Ong. Indignate dalla decisione dell’Italia di abolire l’operazione Mare nostrum, si misero in mente di fare da sole costruendo una flotta per salvare i profughi dalle onde e portarli sani e salvi nel Belpaese. Per quasi due anni sono diventate una sorta di mito intoccabile, la fiaba perfetta del progressismo buonista. Finché un giorno non sono trapelati scandali e scheletri negli armadi. E la musica è cambiata.
Oggi il realismo va di moda, ieri era considerato un peccato populista. Populista era chiedere il controllo delle frontiere, populista denunciare l’incremento dei guadagni dei trafficanti, populista voler rivedere l’accordo di Dublino, populista pretendere che nessuna organizzazione non governativa osasse fare pressioni sull’europa e sugli stati per creare canali di immigrazione legali e aperti a tutti. criticare le Ong? Becero. Far notare gli effetti distorsivi della presenza delle navi umanitarie al largo? Ignobile fascismo di bassa lega.
E invece, chi ha avuto il coraggio di dirlo aveva ragione. Aveva ragione a sostenere che più migranti avessero tentato la via del mare, maggiori sarebbero state le disgrazie e i defunti. Aveva ragione a far notare che le politiche migratorie sono prerogativa esclusiva degli Stati e nessuna organizzazione, solidale o meno, può permettersi di forzare le scelte dei governi. Aveva ragione a denunciare i vantaggi per i trafficanti derivanti dall’azione delle Ong (anche la Cei, per bocca del cardinale Gualtiero Bassetti, le ha ammonite dicendo che “non si possono agevolare gli scafisti”). E soprattutto aveva ragione a sostenere che l’attivismo al largo della Libia avrebbe finito col provocare un boom di partenze.
I numeri del Ministero dell’Interno lo certificano. Nel 2016, anno di maggior attività delle Ong, l’Italia ha registrato il record di sbarchi (181.436 contro i 153.842 dell’anno precedente). E fino a luglio del 2017 – prima cioè delle inchieste sull’operato delle Ong e dell’approvazione del codice di condotta – gli arrivi erano superiori rispetto al 2016: i dati di febbraio, marzo, aprile, maggio e giugno registravano un incremento di approdi in Italia, che poi si sono dimezzati. A luglio ne sono sbarcati appena 11mila, ad agosto meno di 4mila e a ottobre solo 5.984, contro i 27.384 dell’anno precedente. Punti di svolta sono stati la ‘guerra’ del governo alle Ong, la riduzione delle loro operazioni di soccorso e il rinnovato legame di Roma con Tripoli. Smentire le statistiche è difficile, se non impossibile.
In questo libro indagheremo dunque i lati oscuri e le strategie d’azione delle organizzazioni non governative attive nel Mediterraneo. Scandaglieremo i secondi fini del loro operato, quel desiderio intimamente coltivato di abbattere la ‘Fortezza europa’ e di modificarne le politiche migratorie. Spiegheremo in che modo si sono appigliate alle leggi internazionali per portare tutti i profughi in Italia senza rivolgersi mai ad altri stati limitrofi come Malta, Tunisia e Libia. Parleremo del retroterra culturale che le anima, delle figure che le sostengono (dal ‘prete dei migranti’ a Emma Bonino, impegnata in una raccolta firme per l’abolizione della Bossi-Fini). Osserveremo da vicino conti, finanziamenti e spese di chi dovrebbe fare della trasparenza un principio (e troppo spesso si dimentica di applicarlo). Vedremo in che modo le missioni di salvataggio delle Ong hanno favorito i trafficanti e come si sono trasformate in un fattore attrattivo per gli immigrati. Ci occuperemo delle inchieste delle procure di Trapani e Catania, delle accuse a Jugend Rettet di collusione con gli scafisti, dei rendez-vous sospetti, delle chat tra team leader delle imbarcazioni umanitarie e delle consegne concordate di disperati.
Infine, proveremo a spiegare il motivo per cui, infastidite dalle scelte politiche del governo italiano, le Ong abbiano deciso di ridurre la loro presenza o abbandonare del tutto il Mediterraneo.Perché in tema di migrazioni non deve vincere lo sterile e ideologico umanitarismo, bensì il realismo di chi fa prevalere la ragion di Stato all’accoglienza indiscriminata.
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