«Se Dio è morto, allora tutto è possibile, ciascuno di noi può sentirsi Dio, può pensare di esserlo. La storia di questi due ragazzi, per come emerge dalle loro stesse tremende parole, è tutta qui». Claudio Risé, docente universitario ma anche psicoterapeuta con una vasta esperienza sul campo, parla della sanguinaria mattanza di Roma con la consapevolezza dello studioso che registra i sintomi di una malattia conosciuta, osservata, temuta.
Ma professore, gli assassini ai carabinieri hanno detto che «volevano fare del male a qualcuno». Se davvero si indentificavano con Dio, è un Dio ben malvagio.
«La questione centrale non è l'identificazione con il divino, ma la mancanza di confini. Dio è rappresentazione dell'altro. Qualcuno con cui ci confrontiamo e di fronte alla quale riconosciamo noi stessi e i nostri confini. La sparizione di questi confini è un tratto caratteristico della tarda modernità».
Ma la morte di Dio è un fenomeno più antico, l'ateismo c'è da sempre.
«No, non da sempre. La perdita di questo punto di riferimento e l'abbattimento di ogni confine, come nella procreazione, sono un processo legato alla modernità, che passa dalla rivoluzione scientifica e tecnologica, il mito di Frankenstein, la morte di Dio, di cui parla Nietzsche, la morte della Natura e del vivente. Il primitivo vede una pianta e la rispetta, pensa magari se può servirgli. Senza il senso dell'Altro e del limite anche l'altro essere umano si riduce a oggetto. È la stessa dinamica del nazismo che costruisce le camere a gas, tu uccidi l'altro per verificare fino a che punto ti puoi spingere».
In effetti i due amici cercano «qualcuno a cui far male» come una preda o un bene di consumo. Si capisce che negano l'umanità della vittima.
«Questo trasformare l'altro in oggetto è un tema centrale della psicologia sadica che si sviluppò alla fine del '700. Si cancella ogni relazione affettiva e si riduce l'altro a cosa».
C'è un riscontro a questo fenomeno anche nella sua esperienza sul campo?
«Sta per uscire il mio libro Sazi da morire. Questa sazietà mortale è riconducibile proprio a questo contesto. L'eliminazione di Dio e la perdita dei propri confini che inducono ad avanzare in territori mortiferi. È questo l'esito di un modello di cultura che non sottopone più le azioni a una verifica morale. Ciò che è in nostro potere, si fa. Ciò porta alla follia e alla morte».
Eppure questi ragazzi capiscono cos'è bene e cos'è male. Uno dei due ammette di aver provato vergogna, durante il massacro.
«È la reazione, tardiva, di chi si rende conto di aver oltrepassato un limite, un confine che non si dovrebbe oltrepassare. Ma pensa di poterlo fare, perché si può fare tutto. Una sensazione allevata anche dalla retorica dei diritti che ha cancellato la cultura dei doveri, come aveva osservato già Simone Weil. L'assenza di Dio, dei confini che la sua esistenza ci suggerisce e dei doveri che ne conseguono ci spinge ad andare oltre, a varcare ogni limite. È l'esito un po' infantile di uno sviluppo tecnologico non sottoposto al giudizio etico».
Intende che senza Dio non può esserci etica?
«Abbiamo preso questa strada. Ma non è l'unica. Potremmo sviluppare scienza e tecnica senza eliminare l'ethos. L'etica non è retorica dell'essere tutti più buoni, o confondere l'uguaglianza con l'eliminazione delle differenze, ma la coscienza che, anche senza Dio, siamo tutti sacri. Se non riconosci che la vita è sacra, allora ammazzi, torturi».
Come influisce l'uso della droga?
«Da un lato, per come te la procuri, è un sintomo della sensazione di non avere confini. Dall'altra serve ad aumentare questa sensazione».
Manuel Foffo racconta di aver speso 1.500 euro in cocaina in poche ore. Marco Prato conduce una vita dorata.
«Sono il frutto di una classe agiata che ha cancellato il valore della
morale e quindi non sa più neanche insegnare il valore morale del denaro. Quando ho scritto che sperperare soldi per la cannabis oltre a far male al fisico, fa male moralmente ho suscitato indignazione dall'establishment».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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