Una prima mossa con tante incertezze, ma decisamente migliore dell'inazione che fino a ieri è stata il tratto rilevante della politica del governo italiano in materia di contrasto al traffico di migranti. Ieri, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato la delibera sulla missione di supporto alla guardia costiera libica «per le attività di controllo e contrasto dell'immigrazione illegale». In questo modo, Roma ha risposto all'interventismo sospetto del presidente francese Macron in Nord Africa ponendo le basi per la tutela dei propri interessi politici ed economici.
Una decisione forse tardiva, ma comunque opportuna. E, come prassi in queste occasioni, anche circondata da un alone di mistero. Il premier libico di Tripoli, Fayez al Serraj, giovedì sera aveva reso noto che sarebbe proseguito il programma di addestramento e di fornitura di attrezzatura alla marina libica da parte dell'Italia, ma che questo non avrebbe significato una presenza sul campo dei nostri militari perché «la sovranità della Libia è una linea rossa». Serraj aveva smentito se stesso in quanto proprio nell'incontro di mercoledì a Roma con il premier Gentiloni aveva esplicitato una richiesta di intervento poi formalizzata tramite lettera.
E a quella missiva ieri Gentiloni ha fatto riferimento al termine nella riunione dell'esecutivo. «Quello che abbiamo approvato è né più né meno quanto richiesta dal governo libico», ha spiegato sottolineando che l'intervento «può dare un contributo significativo a rafforzare la sovranità libica, non è un'iniziativa contro la sovranità libica». A stretto giro il ministero degli Esteri di Tripoli ha sostanzialmente confermato di aver chiesto al governo italiano «solo supporto logistico e tecnico per la Guardia costiera libica» e che «questa misura potrebbe richiedere la presenza di alcune unità navali italiane che operino nel porto di Tripoli» e che le unità italiane opereranno «con un'autorizzazione preventiva e in coordinamento con le autorità libiche».
Questo a dir poco tortuoso rapporto diplomatico mostra le evidenti difficoltà del governo Serraj sul fronte interno giacché la stampa locale descriveva l'Italia come pronta a inviare navi da guerra e caccia bombardieri in gran quantità. E per questo motivo Gentiloni ieri ha dovuto precisare che «sarebbe sbagliato interpretarlo come un enorme invio di grandi flotte e squadriglie aeree», ma piuttosto come «un passo verso la stabilizzazione della Libia» e che «può dare un contributo molto rilevante non solo al contrasto dei mercanti di esseri umani, ma per governare i flussi migratori».
A sua volta il nostro premier, potendo contare su una maggioranza esile soprattutto al Senato, ha il dovere di minimizzare per non indispettire il fronte pacifista e terzomondista dei suoi. Ecco perché, per ora, è stato inviato nelle acque libiche un pattugliatore della Marina (una delle cinque navi impegnate in «Mare sicuro»). Al termine della ricognizione, prevista martedì, si deciderà il dispiego di mezzi.
La data non è casuale perché martedì la delibera del governo arriverà alle commissioni Difesa di Camera e Senato cui il ministro degli esteri Alfano riferirà. Trattandosi di una modifica a una missione internazionale già autorizzata dalla legge quadro, sarà sufficiente il voto delle commissioni su una risoluzione che accolga la delibera del governo. «Spero che la missione abbia un consenso largo in Parlamento», ha concluso Gentiloni.
In ogni caso, è stata nuovamente seguita la strada tracciata da Silvio Berlusconi una decina di anni orsono quando siglò un accordo con l'allora presidente Gheddafi proprio per porre un limite
agli sbarchi verso l'Italia. Ecco perché Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega Nord, pur stando all'opposizione, hanno annunciato un atteggiamento responsabile purché l'esecutivo fornisca al Parlamento tutti i dettagli.
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