Nella laicissima Francia non poteva che andare così: Notre-Dame va a pezzi ma lo Stato si volta dall'altra parte e lascia ai privati l'onore e l'onere di finanziare i restauri. E siccome pecunia non olet, anche la carità degli stranieri andrà benissimo.
Del decadente destino della cattedrale dei parigini (che ha circa 850 anni) si era già occupato da par suo quasi due secoli fa nientemeno che Victor Hugo, denunciando «le innumerevoli degradazioni e mutilazioni» che l'edificio sacro aveva subito a partire dalla Rivoluzione francese. Oggi il problema non ha a che vedere con l'iconoclastia dei rivoluzionari, ma se possibile è di natura ancor più prosaica: le raffinate statue che ornano le guglie si sbriciolano, le antiche grondaie e le ardite balaustre non reggono agli insulti del tempo, i tetti plurisecolari hanno necessità impellente di essere riparati.
Questa urgenza potrebbe sfuggire ai dodici di milioni di visitatori che ogni anno ammirano Notre-Dame, e che portano nella memoria l'ottimo restauro della facciata (completato ormai quasi vent'anni fa) e la modernità delle vetrate artistiche installate nel secolo scorso. Ma la gravità della situazione è altrove ed è fisicamente rintracciabile non solo arrampicandosi sui tetti o sui passaggi sopraelevati, ma anche semplicemente contemplando il triste spettacolo offerto dal giardino retrostante la cattedrale, ormai letteralmente ingombro di frammenti di varie dimensioni precipitati dall'alto e lì accatastati a riprova del degrado della costruzione. E non finisce qui, perché occorre considerare come le infiltrazioni d'acqua stiano inesorabilmente corrodendo l'altissima guglia centrale e che per i grandi archi rampanti in pietra che sostengono l'abside e l'intero edificio sia iniziato un silente conto alla rovescia che entro pochi decenni potrebbe secondo gli esperti più pessimisti concludersi con la rovina della meraviglia più visitata della Francia.
Il conto di questi interventi non più rinviabili è ingente e viene stimato in 150 milioni di euro per lavori che potrebbero richiedere un decennio. La République - che pure di Notre-Dame è proprietaria - pare disposta a scucire al massimo 40 milioni, il resto va trovato. Una frazione piuttosto modesta della cifra mancante verrà messa a disposizione dall'amministrazione della cattedrale, ma stiamo parlando del denaro sufficiente ad avviare i lavori o poco più.
Ecco dunque che la diocesi di Parigi si trova nella condizione di doversi attivare per risolvere il problema in tempi ragionevolmente rapidi, tenuto conto che lasciar passare altro tempo senza intervenire non farebbe che accrescere i costi. È stato dunque deciso di creare due fondazioni, una sola delle quali sarà francese, mentre l'altra sarà americana. I benestanti privati francesi, infatti, non sono in fondo molto diversi dalla società in cui vivono e dalle sue autorità politiche: non hanno insomma gran voglia di mostrarsi generosi con la Chiesa cattolica.
Ecco dunque che molte speranze vengono riposte nella Fondazione degli amici di Notre-Dame de Paris, registrata già l'anno scorso come opera pia statunitense. Finora però la generosità dei turisti stranieri ha permesso di racimolare solo qualche centinaio di migliaia di euro. Una goccia nel mare.
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