Il "nuovo" della fronda Pd: Bandiera rossa e Ottocento

Tanta nostalgia e slogan riesumati dal passato alla kermesse degli scissionisti, niente bandiere Dem

Il "nuovo" della fronda Pd: Bandiera rossa e Ottocento

Roma - «Bandiera rossa la trionferà, evviva il socialismo e la libertà». Roma, Italia, anno 2017. L'evento della minoranza PD dal titolo eloquente di «Rivoluzione socialista» comincia così. All'ormai ex rottamatore fiorentino Matteo Renzi, la sinistra dem oppone i «tre tenori» Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza. Restauratori del socialismo. E sono loro stessi a rivendicarlo con orgoglio. Comincia il governatore della Toscana, organizzatore dell'incontro e autore di un libro intitolato proprio Rivoluzione socialista: «Il nostro nemico è la destra» e giù applausi dalla platea, composta per lo più da sessantenni. Rossi, anche se in giacca e cravatta, si traveste da rivoluzionario: «Noi abbiamo bisogno di un partito partigiano, che stia dalla parte dei lavoratori. Il Pd sta scontando troppa contiguità e vicinanza con i potenti, se esalti Marchionne non puoi aspettarti il voto del precario». Anche se di giovani precari e popolo dei «voucher», altro tema molto in voga, se ne vedono pochi. Ad abbassare un po' la media dell'età c'è solo una piccola delegazione di Giovani Democratici, con barbe da hipster e maglioncino «alla Marchionne». Non ci sono bandiere del Pd, ad eccezione di un gruppetto di renziani, che si definiscono «responsabili», arrivati da Pontassieve, il paese dell'ex premier, per «ricucire lo strappo». Ma per loro al Teatro Vittoria di Testaccio non c'è posto. E infatti restano fuori.

Dentro, intanto, continua la rievocazione del socialismo ottocentesco. Rossi vuole sconfiggere il «capitalismo parassitario» e parla di «critica razionale al capitalismo». Poi arriva Roberto Speranza che, tra una minaccia di scissione e l'altra, corteggia sindacalisti e insegnanti: «Bisogna ricomporre la frattura con il mondo della scuola e dialogare con la Cgil». Di professori sessantottini e iscritti al sindacato «rosso» nel pubblico ce ne sono tanti. Il deputato lucano confessa, suo malgrado, di «aver ricevuto anche lui una telefonata da Renzi», e subito si agita un militante: «Che t'ha detto Matteo?», urla. Il pantheon dei «socialisti rivoluzionari» riuniti al Teatro Vittoria è vasto. Vengono proiettate immagini della Resistenza, del '68, delle proteste antirazziste in America. Oltre ai classici della sinistra italiana, primo fra tutti l'intramontabile Enrico Berlinguer, gli oratori citano Nelson Mandela, Rosa Parks e Papa Francesco. In Europa, oggi i riferimenti sono il candidato dei socialisti alle prossime presidenziali francesi Benoit Hamon e il laburista britannico Jeremy Corbyn. Lo spauracchio vero, però, è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump: «Esempio di una destra che è pronta a raccogliere consenso sfruttando e manipolando quel disagio che ha creato lei stessa». E Renzi diventa un «neoreaganiano», di destra pure lui. Il più adorato dal popolo di questa «nuova» sinistra è invece il governatore della Puglia Michele Emiliano. L'ex magistrato, da battutista consumato, esordisce scusandosi per «essere stato un sostenitore di Renzi». Emiliano scatena l'applauso più forte di tutti quando dice: «Di fronte a una situazione molto meno grave di quella in cui si trova oggi Matteo Renzi, Pier Luigi Bersani si è dimesso e ha consentito al partito di superare le difficoltà». Compagni in visibilio e Bersani costretto ad alzarsi per salutare. Accanto a lui impassibili Guglielmo Epifani e Massimo D'Alema. Tutti e tre ormai «padri nobili» della cosa socialista.

Sale sul palco un operaio della Luxottica di Settimo Torinese: «Mi stupisce che ancora ci siano gli operai». Al solo pronunciare la parola tutti si scatenano.

Grigorij Filippo Calcagno, 20 anni, segretario dei Giovani Democratici di Modena parla con passione di «uguaglianza, sinistra e socialismo». Il suo idolo? Enrico Rossi «il Bernie Sanders italiano». In fondo, ci si accontenta di poco.

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