Mancano oramai pochi giorni alla data fatidica del 2 novembre, giorno in cui scadranno gli accordi di collaborazione tra Italia e Libia per il potenziamento della Guardia Costiera di Tripoli. Accordi che, come scritto già in altre occasioni, potrebbero essere rinnovati automaticamente da entrambi i governi.
Ma la polemica interna alla maggioranza giallorossa è latente e potrebbe infiammare i rapporti tra le varie forze governative, visto che la parte più a sinistra del Pd e LeU non vogliono il rinnovo. Nel frattempo, anche le Ong impegnate nel Mediterraneo intervengono in merito e, come prevedibile, invitano a non rinnovare l’intesa raggiunta più di due anni fa dal governo Gentiloni.
Una posizione, quella delle Ong, spiegata in una lunga lettera inviata a La Stampa da Valeria Alice Colombo, medico volontario in molte missioni delle navi delle organizzazioni non governative. Nel mirino non solo il possibile rinnovo dell’accordo tra Italia e Libia, ma anche il codice di comportamento delle Ong varato nei giorni scorsi dal governo del premier libico Fayez Al Sarraj.
“Noi non lo sottoscriveremo – ha scritto a La Stampa Valeria Alice Colombo – Salvare vite nel mar Mediterraneo non è più lo stesso che salvare vite in altri mari: invece di essere un atto dovuto e necessario, si è trasformato in azione soggetta al sospetto e alla speculazione di forze politiche e autorità”.
Dunque le Ong si stanno preparando a dare battaglia ed a continuare il loro lavoro nel Mediterraneo, a prescindere dal rinnovo dell’accordo tra Italia e Libia e partendo dalla mancata sottoscrizione del nuovo codice varato dal governo di Tripoli.
Il motivo appare molto semplice: nessun migrante soccorso a poche miglia dalla Libia verrà rimandato indietro e consegnato alle autorità libiche, in quanto su queste ultime aleggiano timori e sospetti da parte di tutte le varie Ong presenti nel Mediterraneo.
Ed in questo contesto si affaccia il recente caso Bija, il trafficante presente in Italia l’11 maggio 2017 su invito del Viminale guidato da Marco Minniti in veste di rappresentante della guardia costiera del suo paese: “Ero presente quest' estate a bordo – ha scritto il medico volontario – quando abbiamo incrociato la nostra rotta con la Tallil 267 della guardia costiera libica mentre completavamo l' evacuazione di 53 persone da un gommone. La Tallil 267 è la principale imbarcazione di Abdou al Rahman al-Milad, comandante dell' unità della guardia costiera libica in stanza a Zawiyah. Alcuni dei naufraghi che avevamo appena evacuato ci raccontarono di lui. Lo conoscono tutti con il soprannome di al-Bija, è lui che decide chi va in spiaggia e chi rimane nel centro di detenzione; chi si imbarca e chi rimane”.
La Libia dunque, sia per la poca affidabilità della Guardia Costiera locale che per il fatto di essere un paese ancora in guerra, non si presenta come porto sicuro e dunque, questo è sottinteso, le Ong orienteranno le proprie navi verso le coste del nostro paese: “Secondo le Nazioni Unite – ha continuato Valeria Alice Colombo – la Libia non è un porto sicuro. Il monitoraggio di organismi internazionali evidenzia chiaramente come la cosiddetta guardia costiera libica sia in effetti formata da milizie locali attualmente coinvolte nel conflitto civile che ancora dilania il Paese”.
Le attività dunque andranno avanti, le Ong sfideranno governo e guardia costiera libica e, in tal modo, metteranno pressione anche allo stesso governo di Giuseppe Conte che, come detto in precedenza, in queste ore si sta destreggiando faticosamente tra le critiche che giungono alla sinistra della coalizione che regge l’esecutivo sull’ipotesi di rinnovo dell’accordo con la Libia.
Intanto, dopo il caso di sabato che ha visto uno scontro ravvicinato tra guardia costiera di Tripoli e l’Ong Sea Eye, proseguono le attività nel Mediterraneo centrale delle varie organizzazioni.
Nelle scorse ore la nave dell’Ong spagnola Open Arms ha individuato un barcone con 43 persone a bordo soccorse poi in piena notte.Le ultime novità riportano come la Open Arms adesso è in viaggio verso Malta, dopo che il governo de La Valletta ha dato il via libera allo sbarco.
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