E tre. Prima Eugenio Scalfari, poi l'ex direttore dell'Economist Bill Emmott, ora pure Le Monde. Tutti, in qualche modo, incamminati sulla via di Arcore. Quel Cavaliere che prima era nero come la peste e il diavolo ora è meno scuro, forse grigio, non bianco, ma domani chissà. Potenza dei tempi che costringono pure il glorioso quotidiano parigino, tempio della gauche benpensante, a cospargersi il capo di cenere. Nessun cambio di linea, sarebbe pure troppo, ma la presa d'atto, con tanto di rettifica, di aver diffamato Silvio Berlusconi con una montagna di fake news. Altro che rigoroso giornalismo d'inchiesta. Il grande Le Monde aveva elegantemente orecchiato i giornali italiani, poi aveva annusato l'atmosfera di alcune procure di trincea, quindi aveva costruito un ritratto di Berlusconi che non stava né in cielo né in terra, ma troneggiava sulle colonne dell'autorevolissimo foglio: il fondatore di Forza Italia veniva cucinato come un Padrino, in affari con i boss di Cosa nostra, sempre attraverso l'immancabile Marcello Dell'Utri e il giornale francese aveva assestato il colpo di grazia a Silvio spiegando che quella liason indicibile e oscura era stata dimostrata dai giudici con tanto di sentenze definitive. Sbalorditivo. Al confronto, gli articoli di Marco Travaglio e del Fatto potevano passare per filo berlusconiani.
Ma, si sa, in Francia devono avere un'idea distorta del nostro Paese, caricaturale prima che offensiva: pizza, mandolino e, nel caso altrettanto inverosimile di Cesare Battisti, leggi speciali, torture, violazioni dei diritti umani. Sul fronte di Arcore andava bene cosi: il leader canaglia che innaffiava i prati di Arcore con i capitali dei gangster mafiosi. Perfetto per denigrare l'ex premier e con lui il nostro Paese. Due le bordate: il 4 agosto 2015, con l'illuminante pezzo «Quand Berlusconi pactise avec la Pieuvre», Quando Berlusconi viene a patti con la Piovra, e il 10 luglio 2017, con l'altrettanto portentoso Quando Berlusconi trattava con Cosa nostra. Ieri la correzione, anche se semisepolta in un trafiletto a pagina 17.
In Italia, ci fa sapere ora Le Monde, «sono stati avviati diversi procedimenti penali per verificare se Berlusconi e il suo staff avessero utilizzato capitali di provenienza mafiosa, ma dopo approfondite indagini, finalizzate soprattutto ad analizzare le dichiarazioni dei pentiti e i flussi finanziari di Fininvest, questi procedimenti hanno portato soprattutto a provvedimenti di non luogo a procedere o di assoluzione».
Il Berlusconi mafioso è una bufala. E alla fine anche gli immacolati maestri devono capitolare: «In queste sentenze definitive» non c'è «alcuna prova che Fininvest e Silvio Berlusconi abbiano potuto beneficiare di somme di origine mafiosa o che si siano dedicati a riciclare tali somme». Tutto inventato. Il Cavaliere non ha costruito le sue fortune sui soldi sporchi di sangue dei padrini. E spiace che a incappare nell'errore sia stato non una ma due volte Daniel Psenny, il giornalista eroe della tragedia del Bataclan.
«Dopo l'Economist - gongola Renato Brunetta - anche Le Monde. Meglio tardi che mai».
In verità era stato Scalfari ad aprire le danze, chiarendo che Berlusconi è meglio di Di Maio e scatenando un putiferio fra i soloni della gauche di casa nostra. Poi si era ricreduto pure mister Emmott scoprendo che forse il Cavaliere non è unfit, ma idoneo addirittura a salvare il Paese. Ora, Le Monde buca la leggenda di Cosa nostra.
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