«L'Isis non è morto - ha solo cambiato pelle» è il titolo dell'ultimo libro di Alessandro Orsini appena dato alle stampe da Rizzoli con un tempismo perfetto. L'autore è direttore dell'Osservatorio sulla sicurezza internazionale dell'università Luiss di Roma. Nell'intervista al Giornale fa notare come la minaccia all'Italia sia paradossalmente aumentata con il crollo del Califfato in Medio Oriente.
Ci spiega perché l'Isis non è morto?
«L'Isis non è morto perché, prima di tutto, è un fenomeno culturale e le culture politiche non possono essere distrutte con le bombe. L'Isis può morire come Stato, ma non come concezione del mondo. Fino a quando esisterà la religione islamica, esisterà la possibilità che nasca un fenomeno come l'Isis perché la figura di Maometto è caratterizzata da un'ambiguità insuperabile che può giustificare sia la pace, sia la guerra».
L'Italia è in pericolo, come dimostrano gli arresti di questi giorni?
«L'Italia rischia di subire un attentato da parte di un militante dell'Isis e deve prepararsi a questa eventualità. Un tempo, i capi dell'Isis pianificavano gli attentati contro i Paesi che bombardavano le loro roccaforti. Era una strategia razionale, che ha risparmiato l'Italia. Oggi assistiamo a un impazzimento del terrorismo jihadista. I capi dell'Isis hanno smesso di coordinare gli attentati in Europa lasciando carta bianca ai lupi solitari e alle cellule autonome. Questo spiega attentati senza senso, come quello che ha colpito la Finlandia, il 18 agosto 2017. I capi dell'Isis colpivano in base a una logica rigorosa. I lupi solitari e le cellule autonome sono rabbia allo stato puro. Per questo motivo l'Italia, proprio nel momento del crollo statuale dell'Isis in Medio Oriente, è paradossalmente più esposta ad un attacco terroristico che non aveva mai subito prima».
Le festività, come la Pasqua, risvegliano i seguaci del terrore che abbiamo in casa?
«Almeno finora, i capi dell'Isis non hanno mai cercato di colpire l'Italia a Pasqua o a Natale, ma non possiamo escludere che un lupo solitario o una cellula autonoma provi a entrare in azione. Come ho spiegato agiscono senza seguire una logica politica. Dal loro punto di vista, la Finlandia e gli Stati Uniti sono sullo stesso piano. È chiaro che sono persone incapaci di pensare».
Il rientro dei volontari della guerra santa superstiti, che erano partiti per combattere sotto le bandiere nere, è una minaccia anche per l'Italia?
«Lo è, ma in misura contenuta rispetto ad altri paesi. Temiamo che possano fare ritorno circa cento soggetti partiti dall'Italia».
Potrebbe esserci un salto di qualità con macchine minate o droni, come sui fronti di guerra del Medio Oriente, temuto dall'agenzia comunitaria Europol?
«È possibile, ma poco probabile. L'uso di queste tecniche richiederebbe un notevole investimento da parte dei vertici dell'organizzazione, che non hanno più una base territoriale e sono costretti a vivere in clandestinità».
Un capitolo del suo nuovo libro riguarda l'immigrazione ed il terrorismo. Quattro degli arrestati di ieri della rete di Anis Amri, il killer del mercatino natalizio a Berlino, sono tunisini coinvolti nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I terroristi si infiltrano nei flussi dei migranti?
«È successo che alcuni immigrati si siano radicalizzati dopo essere giunti in Italia sui barconi. È il caso di Anis Amri. Quando sbarcò a Lampedusa, non era un terrorista. Lo è diventato dopo. Il nesso tra immigrazione e terrorismo esiste, nel senso che alcuni immigrati sono poi diventati terroristi, ma nessun terrorista è mai arrivato su un barcone. Ad ogni modo, Anis Amri non è l'unico immigrato a essersi trasformato in terrorista. Il mio libro elenca tutti i casi».
Esiste un problema di radicalizzazione in Italia come spiega nel libro?
«È fuori discussione che esista. Basta leggere i documenti del ministero di Grazia e Giustizia sulla radicalizzazione nelle carceri italiane».
Per gli attentati jihadisti quale futuro ci attende?
«Un futuro con attentati per lo più a bassa intensità».
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