Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, aveva capito che i nigeriani sarebbero potuti diventare un problema per il nostro Paese. E lo aveva capito con un anno di anticipo rispetto a una emergenza ora diventata pesantissima. Il riferimento non è solo al dramma di Macerata con l'orribile fine della povera Pamela Mastropietro, ma anche ai precedenti stupri di Rimini e al tragico rosario di violenze che, da mesi, vede giovani nigeriani protagonisti delle peggiori nefandezze. Come ha evidenziato ieri sera l'ex procuratore antimafia Franco Roberti «la mafia nigeriana adotta il metodo mafioso tipico che si rafforza anche attraverso riti sacrificali che vengono chiamati culti segreti, che si rifanno alla ritualità voodoo e che passano attraverso i riti magici e possono portare, come a volte è accaduto, a lesioni o addirittura all'omicidio».
Il Viminale (supportato da informazioni di intelligence che ne segnalavano il rischio) il 26 gennaio 2017 inviò alle questure di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta (sedi dei Cie, Centri di identificazione ed espulsione) un telegramma che il Giornale è in grado di riprodurre integralmente.
È un foglio con l'intestazione «Ministero dell'Interno, dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere» con oggetto: «Attività di contrasto all'immigrazione clandestina».
Il testo - nonostante il linguaggio in stretto «ministerialese» - risulta esplicito: «Audizione e charter Nigeria. Al fine di procedere, d'intesa con l'ambasciata della Repubblica federale della Nigeria, alle audizioni a fini identificativi di sedicenti cittadini nigeriani rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale per il loro successivo rimpatrio, questa Direzione centrale ha riservato, a decorrere dal 26 gennaio al 18 febbraio 2017, 50 posti per donne nel Cie di Roma, 25 per uomini a Torino, 10 per uomini a Brindisi, e altri 10 per uomini a Caltanissetta». Una goccia nel mare del caos dei controversi flussi migratori, ma pur sempre un segnale importante. Ecco quindi l'ordine alle Questure di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta ad «effettuare mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale sul territorio nazionale». A ben leggere la circolare, firmata dal «direttore del servizio immigrazione, Pisani», nulla di più di una verifica sullo status di soggetti, formalmente arrivati nel nostro Paese con lo scudo del profughi di guerra o del richiedente asilo politico, ma in realtà «operativi» in ambiti ben lontani da contesti umanitari. Dati alla mano, ad esempio, la criminalità nigeriana risulta tra più attiva in Italia nei settori dello spaccio di droga e dello sfruttamento della prostituzione.
Ma quella che, da parte del dicastero di Minniti, appare come una opportuna stretta contro la delinquenza nigeriana, viene percepita dall'avvocato Giorgio Bisagna addirittura come un «pugno allo stomaco»; Bisagna, noto penalista palermitano e presidente dell'associazione Adduma, che raggruppa avvocati che si occupa dei diritti dei migranti, si dichiara addirittura «sconcertato».
«La questione che sconcerta è innanzitutto che si disponga il rintraccio per gruppi etnici - dichiarava all'agenzia AdnKronos due mesi dopo l'invio del telex del Viminale -. Si rischia la configurazione dell'espulsione collettiva per gli irregolari. Questa circolare sembra denotare la volontà di procedere a una espulsione collettiva». Non è che l'Adduma pensi a una sorta di class action da parte della comunità nigeriana? Le parole dell'avvocato Bisagna paiono farla intravedere: «Non si può fare una sorta di rastrellamento.
Ci stiamo mobilitando, intanto a livello locale prenderemo le difese dei singoli nigeriani, ma valutiamo anche se c'è la possibilità di agire a tutela dei migranti nigeriani». Guerra alle espulsioni, dunque. Puntando magari anche a un bel risarcimento danni. Paga lo Stato italiano. La criminalità nigeriana sentitamente ringrazia.
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