Il giorno dopo è quello dei «non ci sto». L'asse contro Mariano Rajoy è partita. E fa paura. La Spagna che domenica ha votato ha voluto la fine del bipartitismo, ora non sa come uscirne. A vincere, è stata la rabbia e la frustrazione. Addio all'alternanza tra Partito Popolare e Partito Socialista. A pesare sono stati gli scandali per corruzione, la crisi nera, i 3 milioni di disoccupati, l'obbedienza verso un'Europa che non distribuisce più ma impone soltanto. Il PP di Mariano Rajoy ha tenuto perché ha ridato gas all'economia. Un milione di posti di lavoro sono una vittoria tutta sua. Il popolo in fondo lo ha premiato: primo con il suo 28 per cento, ma senza la maggioranza assoluta per governare. Lui però non ci pensa minimamente a scendere da cavallo. «Non possiamo permetterci stalli, serve stabilità». Convinto com'è di aver fatto bene, di essere stato l'uomo giusto per una Spagna che quattro anni fa rischiava di farsi male è deciso a restare in sella. Guardare al Partito socialista è impossibile. Dopo che Sanchez gli ha dato dell'«indecente» a dialogare non se ne parla. Neppure il vecchio grande partito di sinistra se la passa bene. Non è bastato il bel volto di Sanchez del Partito socialista, il politico in maniche di camicia che voleva sembrare giovane è sembrato a tutti già vecchio. Ha lasciato sul terreno 1,6 milioni di voti, ottenuto 90 deputati e ora si vede tallonato da vicino da Podemos che debutta in Parlamento con 69 deputati e 5,2 milioni di elettori, due anni appena, dopo la sua nascita.
Podemos, Ciudadanos sono due forze con cui ora non si può non fare i conti. Per governare servono i loro voti. L'unico dato certo è la preoccupazione dei mercati: pochi minuti dopo l'apertura della borsa, l'indice guida Ibex era sceso del 3% e a metà giornata era ancora oltre il -2%, con perdite pesanti per i titoli delle banche e delle imprese più dipendenti dallo Stato. L'incertezza fa paura e non piace. C'è fretta, fretta di arrivare al dunque, c'è bisogno di un governo che possa governare in questa Spagna ancora in bilico, ancora troppo debole per non rischiare una ricaduta. «La situazione è tale che possiamo felicitarci col popolo spagnolo per l'alto tasso di partecipazione ma a parte ciò non vedo bene con chi ci si possa congratulare in questa situazione»: ha sintetizzato stizzita la viceportavoce del governo tedesco, Christiane Wirtz, quando le è stato chiesto se la cancelliera, Angela Merkel, si fosse già congratulata con i vincitori del voto. Si muovono leader europei in preda ad ansie e preoccupazioni. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha mandato una lettera al premier uscente e ha auspicato la formazione di «un governo stabile».
Eppure le sabbie mobili sono lì, a un passo dalla Moncloa e non si passa. La macchina delle alleanze, appena partita si è già intoppata; il Psoe e Podemos sbarrano il passo a Rajoy. Con lui alla leadership niente da fare. Il premier conservatore uscente, dal suo canto, ha confermato che vuole cercare di formare un governo, ma il Pp può contare su solo 123 deputati, ben lontano dalla maggioranza assoluta (176). Resta un unico possibile alleato del PP, i liberali di Ciudadanos, che hanno ottenuto il quarto posto ma con solo 40 deputati, il che fa escludere l'ipotesi di un governo di coalizione di centrodestra. «Sarà necessario parlare molto, dialogare di più, arrivare a intese e accordi», ha preconizzato Rajoy. Il leader di Podemos, Pablo Iglesias, ha già detto che non consentirà ai Popolari di formare il nuovo governo: «Non ci sono dubbi, Podemos non permetterà nè attivamente nè passivamente al Pp di governare».
Anche il socialista, Cesar Luena, ha detto che voterà «no» all'investitura di Rajoy, interpretando il voto come una richiesta di cambiamento. Il «numero uno» degli ex Indignados ha annunciato anche che comincerà a breve un giro di consultazioni per verificare la possibilità di accordi con altre forze politiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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