Panini fa gola agli Usa: un miliardo di dollari per le figurine italiane

Gruppi statunitensi interessati all'acquisto. Il marchio di Modena valuta un'asta ristretta

Panini fa gola agli Usa: un miliardo di dollari per le figurine italiane

Pizzaballa va in America. E per un sacco di dollari. Un miliardino tondo tondo.

Pizzaballa - chi mastica un po' di pallone lo sa - è la «figu» più «figa» che sia mai esistita. Lui, Pierluigi, allora era il portiere dell'Atalanta. Nel 1963-64 la sua figurina Panini risultò essere quasi introvabile e si trasformò quindi nel sacro graal dei collezionisti, contribuendo alla fama di quelle immaginette adesive dei calciatori allora agli albori. Che dall'Italia hanno conquistato il mondo, ma presto potrebbero non essere più italiane.

Lo ha rivelato ieri il Sole 24 Ore: l'azienda modenese, la più importante produttrice di figurine al mondo, è in vendita. L'amministratore delegato Aldo Hugo Sallustro ha dato mandato alla banca d'affari americana Lincoln di sottoporre il dossier all'attenzione di possibili acquirenti Usa. L'idea è di istituire un'asta ristretta a pochi soggetti, tra i quali fondi di private equity e multinazionali americane, da cui ricavare un miliardo di dollari.

La Panini del resto è una miniera d'oro. Nacque nel 1961 producendo la prima edizione dell'album dei calciatori italiani (il titolo in copertina era: Grande raccolta figurine calciatori) relativa alla stagione 1961-62. In copertina c'era un Nils Liedholm in maglia rossonera, scontornato su sfondo giallo. Allora si trattava di una novità; fino ad allora le figurine erano uno strumento pubblicitario utilizzato dalle aziende per stimolare le vendite grazie alla passione di grandi e piccini per la loro raccolta. Celebri quelle diffuse dalla Liebig, dalla Perugina, dalla Lavazza. L'antesignano di Piazzaballa era il Feroce Saladino.

La Panini fu la prima casa editrice «pura» di figurine, e decise di partire dalla più grande passione italica, quella per il pallone. All'inizio l'accoglienza fu tiepida, ma nel giro di qualche anno la passione si diffuse in tutto il Paese e fu figumania: anche grazie a casi come quelli di Pizzaballa. La cui figurina, peraltro, era rara perché il portiere quando i fotografi della Panini andarono a ritrarre i giocatori dell'Atalanta era infortunato, e lo scatto fu fatto qualche tempo dopo. Abbastanza perché i primi pacchetti non contenessero quella figurina e facessero diventare quell'oggetto un mito. A dimostrazione che gli assenti hanno spesso (non sempre) ragione.

Da allora ne sono passati di calciatori sotto i rulli dell'azienda modenese. La quale fino al 1988 è stata sempre nelle mani della famiglia Panini, prima di finire nelle mani del gruppo Maxwell che impose scelte discutibili. Furono anni tribolati, di numerosi passaggi di mano, fin quando nel 1999 tornò italiana grazie a un'operazione realizzata dalla Fineldo SpA, finanziaria di Vittorio Merloni, insieme al management della Società modenese guidato da Sallustro.

Nel frattempo il gruppo è cresciuto in modo esponenziale. È leader mondiale delle figurine adesive e della trading cards, ha progetti multimediali, vanta oltre mille dipendenti, filiali in Europa, Stati Uniti e America Latina, distribuisce le sue figurine in centoventi nazioni, ha un fatturato che nel 2017 è stato di 536 milioni di euro. Un dato peraltro sottodimensionato rispetto a quello che si prevede per l'anno in corso, in cui si sono svolti i mondiali di calcio.

Evento in corrispondenza del quale, ogni quattro anni, le vendite di album e pacchetti si impenna in tutto il mondo: il fatturato cresce fino a circa 800 milioni e il margine operativo lordo a 200 milioni.

E poi dicono che l'Italia non ha partecipato ai mondiali. L'Italia forse no, ma a Modena hanno partecipato eccome. E hanno pure vinto.

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