Efficace e sicuro, Stefano Parisi si aggiudica nettamente il duello Tv con Beppe Sala. Gli studi Sky di Rogoredo hanno ospitato il confronto o fra i candidati sindaco di Milano, reduci appena quattro giorni fa da un primo turno elettorale all'insegna dell'equilibrio. Durante il faccia a faccia, l'uomo del centrosinistra (che deve difendere un vantaggio esiguo) è apparso teso, legnoso ed è incappato in alcuni passi falsi, bisticci linguistici e politici. La delusione scaturita dalle urne di domenica è ancora una ferita aperta per Pd e alleati. E l'ex commissario Expo ha provato a uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato con una campagna incerta e incolore, incentrata sulla continuità con un'amministrazione comunale uscente che ha incantato solo radical chic e militanti. Evidente, ieri sera, il tentativo di Sala di smarcarsi dal sindaco Giuliano Pisapia, con un generico riferimento alla volontà di introdurre «spirito diverso e innovazione». Evidente anche lo scarto che Sala ha tentato di compiere sul tema caldo per antonomasia, l'immigrazione. Altrettanto chiaro che il cordone ombelicale con la sinistra, vera ispiratrice della sua campagna, Sala non lo può recedere. L'alternativa non esiste. O meglio, non esiste più. L'alternativa si chiamerebbe Matteo Renzi, ma anche sul fronte del premier il povero Sala di recente ha dovuto incassare brutte notizie. E ha potuto rispondere solo con un altro tentativo goffo: smarcarsi. «Io non rinnego nessuno ma non sono Renzi» ha detto, rispondendo a una domanda, arrivata dal fronte avverso, su suo «opportunismo». Per giunta Sala ha fatto sapere che in questi ultimi giorni della campagna non è prevista alcuna iniziativa con il leader del Pd, che evidentemente in due anni ha perso la gran parte del suo appeal: era un toccasana ed è diventato un problema, per i suoi stessi candidati. Clamorosa la gaffe sulla doppia fila, tema citato due volte nel giorno in cui è apparso un video che lo ritrae come un automobilista indisciplinato. Incredibile il sofisma sull'immigrazione, emergenza che ha tentato di addebitare al solo Viminale, costruendo una improbabile distinzione fra ministero dell'Interno e governo (guidato dal partito che lo sostiene).
Parisi è apparso sicuro, a tratti anche troppo. E, rotto il ghiaccio anche sorridente, rilassato. Si è concesso qualche battuta e ha sicuramente sconfitto l'avversario sulle questioni che stanno più a cuore ai milanesi (blocco del traffico, sicurezza e degrado urbano, per esempio). Ha avuto le sue incertezze (la domanda di alleggerimento sulla cultura l'hanno sbagliata entrambi) ma l'impressione comune è che sia risultato più simpatico, cioè più in sintonia con la città, anche quando ha scelto di non citare nomi di grandi manager, là dove il suo avversario ha indicato Leopoldo Pirelli, per poi citarsi come uno dei «protagonisti» della sua azienda. Il candidato del centrodestra ha chiaramente annunciato che non intende tollerare l'abusivismo dei centri sociali, ha chiaramente dichiarato che non farà ricorso ad alcun blocco del traffico. Ha azzeccato il numero di giorni di sforamento del Pm 10. E ha chiaramente escluso dal suo orizzonte il sogno di riaprire i Navigli, preferendo dedicarsi alla cura delle case popolari. Sala ha strizzato l'occhio ai Radicali promettendo un referendum ma i pannelliani di Milano sanno che c'è praticamente già stato e che per 5 anni è stato totalmente ignorato. Parisi, infine, poi ha gestito meglio il tema Comunione e liberazione, pur dichiarandosi «cattolico non praticante».
Si è detto disposto a «costituire» (non «celebrare») le unioni civili omosessuali ma «assolutamente contrario» alla pratica dell'utero in affitto, questione bioetica che Sala ha accuratamente eluso per non scontentare nessuno. Tattica assunta a strategia generale, con un solo risultato certo: convincere pochi.
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